in basso a destra: Leonor Fini / 1935
Il giovane uomo dai tratti delicati e lievemente androgini, nel quale va verosimilmente riconosciuto André Pieyre, è ritratto a mezza figura, posto di tre quarti, con lo sguardo rivolto in basso verso la destra dell'osservatore. Come indica il titolo dell'opera, il vestito stracciato indossato dal personaggio va considerato un travestimento.
"Sono lieto di esprimerLe a nome del Curatorio e mio personale" scrive il direttore Edgardo Sambo nel maggio del 1954, rivolgendosi a Malvina Fini" i più vivi ringraziamenti per aver Ella voluto donare alla nostra quadreria un dipinto ad olio "Ragazzo travestito da povero" opera pregevole di sua figlia Leonor Fini, che andrà ad arricchire la nostra raccolta." Il quadro in esame fu realizzato dall'artista pochi anni dopo essersi trasferita a Parigi (1931), in un momento di grande vivacità artistica e intellettuale della Fini, che fin da giovanissima era entrata in contatto con alcuni dei protagonisti dell'ambiente artistico triestino prima e milanese poi. Nella capitale francese la pittrice, di padre argentino di origini beneventane e madre di origini tedesche, fece amicizia con numerosi artisti e uomini di cultura quasi tutti attivi nel movimento surrealista, a cui peraltro la Fini non aderì mai. Un legame particolare dovette instaurarsi tra la pittrice e il poeta e romanziere André Pieyre de Mandiargues, legato al gruppo surrealista di André Breton, nonché amico d'infanzia del noto fotografo francese Henri Cartier-Bresson. Nel trasandato abbigliamento del giovane ritratto nel quadro del Museo Revoltella è quasi certo che la Fini volle raffigurare proprio l'amico parigino André Pieyre, con il quale aveva viaggiato in Europa nel 1931, in compagnia di Cartier-Bresson, e con cui visse per qualche mese alla fine degli anni trenta in casa dei coniugi Dalì, ad Arcachon. Di André Pieyre, che all'opera di Leonor Fini nel 1951 dedicò una pièce teatrale (Les Masques de Léonor Fini), esiste anche un ritratto da lei eseguito nel 1933 (collezione privata) ed esposto in più occasioni nel corso degli anni trenta (Parigi, Londra, New Yorke e Tokyo) e poi, più di recente, nel 1989 a Milano. Nel profilo a matita del poeta sono evidenti i principali connotati fisionomici del ritratto ad olio del Museo Revoltella: il volto affilato e vagamente efebico, il mento poco pronunciato, gli occhi leggermente allungati e l'ampia fronte. Per nitidezza di tratto disegnativo e compostezza cromatica il ritratto in esame risente senz'altro dell'insegnamento recepito a Trieste alla scuola del pittore Edmondo Passauro (prima metà degli anni venti) che, assieme ad altri artisti triestini da lei frequentati, quali Carlo Sbisà, Cesare Sofianopulo e Arturo Nathan contribuì a gettare le basi di quell'affascinante e bizzarro equilibrio di precisione tecnica e malia simbolico-onirica che costituisce l'arte di Leonor Fini, più tardi corroborata dall'apporto del linguaggio surrealista. Tecnicamente accostabile alle cosiddette "Iniziali", figure femminili "surrealisticamente" allungate e intrecciate tra loro realizzate negli anni trenta (cfr. Les initiales, 1936, coll. A. de Mandiargues), Il Giovanetto travestito da povero fu esposto nel 1936, assieme ad altri quattro ritratti, alla XX Biennale di Venezia con il titolo: Giovane travestito da mendicante. In quella stessa sala, la XL, esponevano, accanto agli altri, anche Antonio Donghi e Pio Semeghini. Di Leonor Fini il Museo Revoltella possiede altre tre opere. Tre autoritratti di cui due litografie e un quadro ad olio di recente acquisizione, particolarmente interessanti perché testimoni dell'evoluzione stilistica e soggettistica della pittrice triestina che, nel corso dei decenni successivi al quadro esaminato, parve concentrarsi sulle infinite trasfigurazioni dell'immagine umana, ambiguamente oscillanti tra forme vegetali e raffigurazioni animali, "talvolta umane al limite delle metamorfosi", in cui, come lei stessa ha affermato, "il modo di fare è difficilmente percettibile". Nell'autoritratto con il cappello rosso, infine, realizzato nel 1968, lo stile nuovamente compatto e definito nel disegno e nel colore, denuncia il definitivo ritorno al linguaggio chiaro e ordinato degli esordi artistici di Leonor Fini.
Gregorat S., Schede, in Il Museo Revoltella di Trieste, Vicenza 2004