Nel primo dei tre pannelli Costanza d’Altavilla accompagnata da una consorella va incontro a tre personaggi a cavallo, altri cavalieri oramai illeggibili, prendono parte al corteo. Sullo sfondo, in alto a sinistra due monache intente alla lettura, sulla destra si intravedono degli edifici e tre personaggi, uno suona il corno. Tre alberi dai fusti slanciati scandiscono la scena. Il secondo pannello è caratterizzato da una fascia a girali vegetali intervallata da un clipeo con un volto femminile, nella parte centrale compaiono alcune architetture e una fitta serie di alberi, sulla destra si riconoscono gli elmi con pennacchi di cinque cavalieri. Nel terzo pannello, due dame di profilo reggono uno scudo, un cavaliere in armatura è in piedi, uno forse seduto. Una staccionata delimita la scena.
Definita genericamente “scena di carattere religioso cavalleresco” (Tramontin Buora 1978, p. 38) Enrica Cozzi ha individuato il reale soggetto del dipinto che appare oggi particolarmente deteriorato. Si tratta di tre pannelli consecutivi che se accostati consentono una più agile la lettura dell’episodio. La studiosa propone di riconoscere nella monaca dalla testa coronata che compare nell’affresco del piano nobile, Costanza d’Altavilla. Costanza, vissuta nel XII secolo, figlia del re normanno di Sicilia Ruggero II, fu costretta ad abbandonare il velo per sposare Enrico IV figlio del Barbarossa dal quale ebbe oramai quarantenne, l’erede Federico II. La scena rappresenta Costanza d’Altavilla in compagnia di una consorella innanzi a un corteo a cavallo, composto da parenti e dignitari e dal futuro sposo. La Cozzi ha riconosciuto, in seguito al puntuale confronto con testi grafici e miniature (al quale per completezza si rimanda, Cozzi 1987 pp. 22-25), le figure di Sigismondo e Giovanni VIII paleologo, l’imperatore d’Occidente e d’Oriente, presenze volte ad attualizzare l’episodio secondo una prassi già nota, e a celebrare l’attività di nunzio del committente dei dipinti, Antonio II Altan, che ricordiamo partecipò attivamente per conto del papa Eugenio IV al concilio di Basilea. La fonte del dipinto è rappresentata da un passo dantesco, la così detta “leggenda del monacato” descritta da Dante nel Paradiso (canto III, 113-120) e ripresa in seguito da Boccaccio nel De mulieribus claris. Enrica Cozzi, facendo notare l’eccezionalità iconografica delle pitture, un vero e proprio unicum, propone di confrontare il ciclo di San Vito con illustrazioni derivate da codici miniati presenti negli ambienti umanistici europei, fonti che potrebbero aver ispirato il colto artista, chiamato Primo Maestro di San Vito, certo consapevole dei dipinti che Masolino aveva realizzato per il Cardinale Orsini in Monte Giordano a Roma tra il 1430 e 1432.
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