Sequenza di libellule colorate.
Il dipinto mostra, su di uno sfondo chiaro segnato da una griglia, quattro sagome di libellule, ciascuna di colore diverso secondo lo spettro dell’arcobaleno. Queste sembrano applicate sulla tela con il medesimo stampo o, comunque, con una mascherina, rendendo di fatto la pittura un’operazione impersonale, apparentemente indiretta. L’opera rientra nell’approccio concettuale di Paolini al mondo naturale. Le libellule non sono la realistica riproposizione dell’aspetto fisico dell’insetto, bensì la forma, il contorno. Non è l’animale in quanto tale ma simbolo dello stesso, in una sorta di gioco infantile, come se un bambino avesse stampato le sagome colorate sulla pagina di un foglio a quadretti che l’artista ha, per così dire, ingigantito sulla tela. L’aspetto ludico diventa, invece, eticamente problematico in opere in cui l’insetto, dipinto illusionisticamente all’interno di una scatola semiaperta, simile a un trompe l’oeil, è fissato con uno spillo, come ne La vittima del collezionista n. 2 (1973). Il cerchio rosso che circonda la zona in cui la cavalletta è trafitta enfatizza il sacrificio di tale sadico atto di collezionismo, che può benissimo assurgere a emblema dell’improvvida condizione degli animali domestici nell’epoca del consumismo di massa. In altri casi, invece, Paolini fa parlare la natura stessa, come nelle opere delle cortecce d’albero di diversa essenza, dove la texture posta in evidenza come una trama di segni diventa linguaggio, così come il linguaggio verbale è protagonista assoluto di alcuni dipinti degli anni Ottanta, nei quali sequenze continue di scritture intervallate da forme geometriche attraversano spazi potenzialmente infiniti (a cura di Matteo Colovatti, 2017).
Paolo Paolini, Paolo Paolini, Pordenone 1988
Gravures, Gravures. Gunter Damisch, Georg Salner, Giancarlo Caneva, Paolo Paolini, Udine 1985