Ritratto ovale di una donna di mezza età inquadrata di tre quarti. Ha i capelli neri e gli occhi scuri. Indossa un abito nero. Porta un paio di orecchini e una spilla d'oro.
Lucia Maurovigh Wildenbrunn è raffigurata di profilo, a mezzo busto, rivolta verso sinistra. Indossa un abito di raso nero e una camicia bianca di cui si intravede il colletto, alto e ingentilito dalla spilla d’oro abbinata agli orecchini pendenti. Stagliata su un fondale marrone indistinto ed epurato da connotazioni ambientali, per la forma della tela e la sua impostazione austera l’opera si configura come il pendant del Ritratto della moglie (cfr. inv. 315/06) eseguito dal Seculin nel 1856, anno a cui si potrebbe far risalire anche l’opera in esame. Le affinità fra i due dipinti si estendono alla possibilità che entrambi siano stati tratti da prototipi fotografici. Tale consuetudine, molto in voga attorno alla metà dell’Ottocento, permise di superare il dualismo instauratosi fra la pittura e la nuova tecnica di riproduzione del reale mettendo quest’ultima al servizio della pratica ritrattistica e favorendo in questo modo la possibilità dell’artista di riprodurre al meglio la fisionomia e i particolari d’abbigliamento degli effigiati. E’ alla tranquillità della composizione in studio che si può dunque ricondurre la perizia dell’autore nel completare l’accurata descrizione esteriore del personaggio con l’introspezione psicologica. Sebbene alcuni particolari abbiano fatto pensare ad un’opera non finita (Malni Pascoletti 1977, p. 48), nella sua austerità e povertà cromatica il Ritratto di Lucia Maurovigh Wildenbrunn pare in realtà manifestare il carattere dell’effigiata. Il volume pieno della figura rispecchia infatti la solidità morale e materiale del personaggio, l’assenza di particolari puramente esornativi richiama la concretezza che la protagonista condivide con la borghesia del tempo, mentre l’ambiente spoglio e la misera tavolozza cui fa ricorso Seculin evidenziano la morigeratezza della donna. Per nulla intimorita dall’occhio indagatore dell’artista, Lucia concede a lui e allo spettatore il naso importante ed un profilo caratterizzato da tratti marcati e già in parte segnati dall’avanzata del tempo. Sicuramente non bella, la protagonista dell’opera decide di non nascondersi dietro ricchi abiti o gioielli vistosi confermando quindi la volontà di eleggere la propria moralità a unico accessorio suo e del dipinto. Collocandola nella seconda metà degli anni Cinquanta, la tela appartiene alla piena maturità artistica di Seculin, ricordato soprattutto per le sue capacità ritrattistiche, ma anche per essere stato l’autore di alcuni bozzetti di scenario per il Teatro di Società di Gorizia (Le nostre incisioni 1910, p. 23). Professore di pittura e disegno, appassionato collezionista di stampe d’area nordica donate al Museo provinciale, l’artista goriziano è stato indicato come il primo probabile maestro di Italico Brass. (Masau Dan 1991, p. 32). (MOGOROVICH 2007, p. 96)
Mogorovich E., Schede, in La Pinacoteca dei Musei Provinciali di Gorizia, Vicenza 2007
Masau Dan M., Le radici goriziane di Italico Brass, in Italico Brass, Milano 1991
Bradaschia G., Andiamo insieme a visitare i Musei Provinciali di Gorizia, Gorizia 1980
Malni Pascoletti M., La pinacoteca di Palazzo Attems, in Studi Goriziani, Gorizia 1977, XLV
Nostre incisioni, Le nostre incisioni, in Forum Julii, Cividale del Friuli (UD) 1910, I, n. 1, marzo