Ritratto di un uomo e una donna: lui in piedi con la destra le porge l'anello, mentre con la sinistra stringe un paio di guanti. Lei è seduta su un divano di tessuto azzurro, con i piedi appoggiati su un puf di identica fattura del divano. La dama indossa un abito di velluto rosso dalla forma cosiddetta a "clessidra", stretto in vita da una fascia dello stesso tessuto del vestito. Sopra la balza del corpetto, che scende sopra le spalle, s'appoggia l'ampio colletto in pizzo bianco, chiuso da un fiocco verde. Le maniche sono a forma di " proscitto". L'acconciatura è composta da due bande lisce e simmetriche che scendono ai lati del viso e si conclude alla sommità del capo in uno chignon a trecce piuttosto alto. L'abbigliamento si completa con un paio di orecchini d'oro, con pendente a forma di spiga stilizzata.L'uomo veste un paio di pantaloni e una rendingote neri. Sotto porta un gilet bianco e una camicia bianca, il cui colletto chiuso da una cravatta annodata, incornicia il mento. La scena si svolge in una stanza tipicamente biedermeier arredatada un tappeto decorato con elementi a medaglinoni inseriti in quadrati, da una specchiera in legno con motivi dorati, da un tavolo con piedi a forma di cavalli alati, coperto da una tovaglia. Sopra si trova un vaso di porcellana tedesca decorato da una scena mitologica, con una sontuosa composizione floreale. Sullo sfondo una tenda di colore azzurro scuro.
Tra i pochi ritratti tominziani a figura intera, questo grande dipinto ritrae una giovane coppia nell'atto di scambiarsi l'anello di fidanzamento. La scena si svolge in un ambiente domestico tipicamente Biedermeier, impreziosito da un tappeto orientale e da pesanti mobili Impero. La foggia del costume femminile, caratterizzato da voluminose maniche e prosciutto, ha suggerito a Coronini la datazione dell’opera, verosimilmente ascrivibile al 1832. L'ambientazione della scena, come hanno rilevato molti studiosi di Tominz, è forse la meno riuscita tra le opere dei primi anni trenta: l'alto punto di fuga prospettico, posto all'estremità destra del quadro, fa sbilanciare in avanti le figure e il mobilio, mentre le tinte piatte, creando una sorta di intarsio di campi cromatici, impediscono la naturale integrazione delle figure con lo spazio. Il pittore ha rinunciato qui a dar prova anche del suo virtuosismo nella resa dei riflessi, lasciando vuoto lo specchio sullo sfondo. L'effetto d'insieme è quello di una quinta teatrale dove il pesante tendaggio, la tovaglia inamidata, la composizione floreale nel vaso di porcellana decorato con un idillio amoroso, rendono ancor più stucchevole la recita sociale in atto. L’elevato numero di errori nell'esecuzione evidenzia, da un lato, la scarsa dimestichezza del pittore con la prospettiva e il suo imbarazzo di fronte alle composizioni più complesse, e dall'altro la sua propensione a lavorare "a memoria" senza avere davanti la scena e i modelli. I difetti del quadro sono stati spesso rilevati dai critici: in virtù degli stessi Marini è giunto persino ad attribuirlo alla seconda metà degli anni cinquanta, affermando che si tratta di "un dipinto dal vero che tende a contraffare pedantescamente il vero” e ha circoscritto il valore del dipinto alle teste dei due personaggi" (Marini, 1952, p.77). La resa psicologica di questi ultimi è l'elemento più interessante anche per Coronini, che ha evidenziato la contrapposizione tra "l'impacciata provincialità" di lui, che offre l'anello, e la commovente timidezza di lei, arrossita in volto per l'emozione. Più recentemente, Barilli non ha salvato dalla censura nemmeno i due giovani, che, a suo avviso, "risultano imbozzolati in una specie di gabbietta, esposta alla nostra contemplazione attraverso un pertugio, come una ricostruzione documentaria di un museo folclorico." (Barilli, 1999, p.42). Diversa l'interpretazione di Morassi, al quale, il "giovane azzimato" che "offre con fare compunto ed un poco esitante l'anello alla sua sposa giuliva" fa sospettare che Tominz non prendesse troppo sul serio questa nuova borghesia e la trattasse "con un misto di subconscia ironia" (A. Morassi, “Elogio di Giuseppe Tominz” in G. Coronini (a c. di), Mostra di Giuseppe Tominz, catalogo della mostra, Gorizia, 1966 , p. 27). Finora poco si è saputo circa la provenienza del quadro e l'identità dei due personaggi ritratti. Grazie al rinvenimento di alcuni preziosi appunti manoscritti di Ranieri Maria Cossar (ora conservati all'ASG, A. Cor. Cro., "Atti e documenti", A.R.M. Cos. busta 332, fasc. 941), si è scoperto che il quadro raffigura "il fidanzamento del signor Dubbane di Trieste, acquistato a Trieste dall'ebreo Weis, che si trasferì a Venezia, per £ 1.000, ora ai Musei Provinciali di Gorizia". L'acquisto avvenne su segnalazione di Alfredo Tominz, che nel febbraio 1930 inviò una cartolina postale a Ranieri Mario Cossar (Archivio privato Cossar) informandolo della disponibilità del dipinto presso un rigattiere di Trieste. Dall'anagrafe storica di Trieste sappiamo che "il giovane azzimato" dai tratti mediorientali è Fancesco Carlo, nato a Trieste nel 1808 da Tecla e Antonio Dubbane, trasferitisi dalla Siria intorno al 1802 (cfr. "Rapporto di polizia" contenuto in AST GOV LIT AG, b. 1610 - fasc. 17, del 20 maggio 1827). La sua graziosa fidanzata è invece Lodovica Matilde Laugier, nata a Trieste nel 1816 e morta qui nel 1902. La loro storia - scoperta grazie al testamento di Dubbane (conservato all'AST, Archivio Notarile di Trieste, serie "Testamenti", b. 25, n. 4639) - rispecchia proprio le congetture fatte dai critici sulla base dell'osservazione del dipinto. Quello che Coronini aveva definito "un ipocrita" e Morassi aveva visto "compunto ed esitante" non assicurò, infatti, una vita felice all'innamorata Lodovica: dopo aver generato cinque figli con lei, ebbe con un'altra donna, Antonia Giovanna Riva, altre tre figlie naturali e un figlio, Francesco Antonio, cui riconobbe il proprio cognome in punto di morte. Nelle sue ultime volontà il ricco possidente lasciò come usufruttuarie della propria abitazione, sita in via Santi Martiri n.8, la moglie e la figlia Matilde (morta nubile nel 1916) e divise tra i suoi figli legittimi e naturali, oltre a quest'edificio, un cospicuo patrimonio che comprendeva: due stabili nella Contrada territoriale di Chiarbola inferiore, uno in via Belpoggio e due in via del Lazzaretto vecchio. Grazie al suo testamento abbiamo anche notizia delle onorificenze ricevute - come le insegne di Cavaliere del Regio Ordine di Federico, assegnategli dal re Guglielmo di Württemberg - e delle sue passioni per le armi, di cui possedeva una ricca collezione, per gli strumenti musicali e per le rose, che coltivava nella sua serra. (BRESSAN 2007, p. 108)
Bressan N., Schede, in La Pinacoteca dei Musei Provinciali di Gorizia, Vicenza 2007
Jožef Tominc, Jožef Tominc. Fiziognomja slike, Lubiana 2002
Giuseppe Tominz, Giuseppe Tominz. L'arte delle virtù borghesi. Guida alla mostra, Trieste 2002
Barilli R., Ritratti alla lente, Giuseppe Tominz, in FMR: Edizione italiana, Milano 1999, dicembre-gennaio
Ottocento frontiera, Ottocento di frontiera. Gorizia 1780-1850. Arte e cultura, Milano 1995
Abitare periferia, Abitare la periferia dell'Impero nell '800, Trieste 1990
Malni Pascoletti M., Aureo Ottocento. La collezione di gioielli dei Musei Provinciali di Gorizia, Udine 1989
Jožef Tominc, Jožef Tominc, Lubiana 1967
Mostra Giuseppe Tominz, Mostra di Giuseppe Tominz, Gorizia 1966
Morassi A., Elogio a Giuseppe Tominz, in Mostra di Giuseppe Tominz, Gorizia 1966
Marini R., Giuseppe Tominz, Venezia 1952, passim