in basso a sinistra: FINETTI
Tre uomini giocano a polo, mentre due donne e un uomo assistono alla partita ai margini del campo di gioco, sullo sfondo.
Secondogenito di Giovanni Battista e di Anna Radaelli, Gino de Finetti nacque a Pisino d’Istria nel 1877, dove il padre, ingegnere ferroviario, era impegnato nella costruzione della ferrovia di Pola. La professione del padre comportò diversi spostamenti della famiglia che, dopo essere vissuta a Tarvisio, Vienna, Gorizia, Innsbruk, si stabilì nel 1884 a Trieste dove Gino compì gli studi fino all’ottenimento del diploma liceale, assecondando nel tempo libero l’innata passione per il disegno sotto la guida di Eugenio Scomparini e Antonio Zuccaro. Nel 1896 l’artista si trasferì a Monaco e frequentò per due anni la Technischule Hochschule, poi abbandonata per seguire la scuola di Anton Ažbe, e quindi l’Accademia di Belle Arti, punto di riferimento obbligato della cultura figurativa triestina tra Otto e Novecento. Qui cominciò a seguire i corsi di Heinrich von Zügel e strinse rapporti di amicizia con Albert Weisgerber, pittore, illustratore e cartellonista. Gli esordi artistici di de Finetti si rintracciano proprio a Monaco nel 1903 con la realizzazione di un manifesto e di alcune cartoline illustrate, opere che misero subito in evidenza le sue doti di disegnatore schiudendogli un luminoso avvenire nell’ambito della grafica pubblicitaria. In veste di illustratore collaborò a riviste come “Jugend” e, dopo il trasferimento a Berlino avvenuto nel 1904, a “Lustige Blätter”; nel 1905 iniziò la collaborazione anche con la nota rivista monacense “Simplicissimus”, dove i suoi disegni furono regolarmente pubblicati fino al 1908. L’esperienza pubblicistica lasciò un’impronta fondamentale nello stile di de Finetti, sempre caratterizzato da una sintesi formale della figurazione e da un gusto coloristico espresso in vibranti campiture cromatiche. Nel 1905 soggiornò per qualche mese a Parigi dove venne a contatto con le opere degli impressionisti, subendo il fascino soprattutto di Degas e Toulouse-Lautrec. Fu in questo periodo che l’artista cominciò a dedicarsi alla pittura, campo nel quale debuttò alla Secessione berlinese del 1912 esponendo due dipinti (Scherzo e Funambolo – si veda la scheda relativa alla seconda opera). Trascorse la maggior parte degli anni della Grande Guerra in Germania realizzando molte illustrazioni per gli editori Ullstein di Berlino, Grethlein di Lipsia ed Engelhorn di Stoccarda. Nel 1919, in seguito alla morte del padre si trattiene alcuni mesi in Italia stringendo rapporti con artisti e critici. Nuovamente a Berlino nel 1920 eseguì i bozzetti per alcune scenografie al Lessingtheater e Wallnertheater. Nel 1922 soggiornò per quasi due anni nella villa di famiglia a Corona di Gradisca vicino a Gorizia realizzando le opere destinate alle mostre del 1924 (Bottega di Poesia a Milano, Circolo Artistico a Trieste e Prima Esposizione Goriziana di Belle Arti) con le quali intendeva presentarsi al pubblico italiano. Dopo le personali italiane allestì una mostra individuale a Berlino e nel 1926 ad Amsterdam con Adolfo Levier. Fu presente nella sezione grafica a diverse edizioni della Biennale di Venezia (1926, 1928, 1932, 1934, 1936) e alla sezione Bianco e Nero della Quadriennale di Roma (1931). Lasciata definitivamente la Germania (1934) si trasferì nella casa di Corona riallacciando i contatti con gli ambienti artistici goriziani e triestini. La matrice impressionista sostenuta dalla plasticità volumetrica e dal segno sintetico derivato dall’esperienza grafica, caratterizzano la pittura di de Finetti che, fino alla fine degli anni venti, predilige i temi sportivi, ed in particolare i soggetti ippici dove i cavalli sono ripresi con prospettive oblique ed inquadrature quasi cinematografiche, che nella dinamica dei salti colgono l’energia e la vitalità pulsante del movimento. Come ricordava Diego Arich (1999, p. 25), una volta rientrato in Italia l’artista s’impose di sfuggire all’etichetta di “pittore di cavalli”, indirizzando questa prerogativa verso la cartellonistica e preferendo “figurare nelle varie mostre sindacali del Triveneto come pittore di paesaggi delle terre ‘redente’: il Castello di Gorizia con il leone di San Marco [Comune di Gorizia], il bivio di Podgora con le rovine della guerra [Comune di Gorizia], i pini italici nelle campagne avite di Corona, la chiesa di San Giovanni del Timavo e gli scavi di Brioni, vanto del turismo d’élite della Venezia Giulia”. Probabilmente eseguita per l’esposizione di Berlino nel 1928, l’opera è nota anche in una versione in cui il pubblico presente sullo sfondo è sostituito da due giocatori (ARICH 1999). Nel 1929 il dipinto fu esposto, assieme alle tele Tuffi da Brioni e il Ponte di Corona, alla Seconda Esposizione Goriziana di Belle Arti organizzata dalla sezione provinciale del Sindacato Regionale Fascista di Belle Arti della Venezia Giulia ed ospitata nell’aula magna dell’appena inaugurata Casa per l’Opera Nazionale dei Balilla (ONB), ora Istituto Statale d’Arte, progettata da Umberto Cuzzi. Sofronio Pocarini era stato nominato segretario e ordinatore della mostra, mentre la giuria era composta dall’architetto Max Fabiani, dai pittori Veno Pilon e Melius (Rodolfo Battig) e dallo scultore Giovanni Novelli. Lo stile mosso e vibrante di ascendenza impressionista, dominato dal colore e dalla pennellata rapida, evocativa ed abbreviata riconducono alle osservazioni di Morassi (1924, pp. 16-17), il quale sottolineava: “nelle pitture del Finetti, più del disegno in sé, ha importanza il colore; più della forma plastica, l’intonazione; più della composizione statica, il movimento; più dell’analisi particolare, la sintesi”. La modernità della pittura di de Finetti veniva riconosciuta dagli stessi futuristi e Giorgio Carmelich nelle Segnalazioni in “Energie futuriste” (n. 5, 1924) inquadrava de Finetti tra i Futuristi in retroguardia: “Parlo di un altro di quegli artisti modernissimi ma non futuristi con i quali ci troviamo improvvisamente senza aver percorso la stessa via. Improvvisamente vicinissimi, ma giunti da vie opposte. Gino de Finetti, pittore, arriva al dinamismo futurista, pur non essendo futurista. L’artista sente, come già Boccioni, come noi, la formola eterna dell’arte: il movimento spirituale e materiale, ch’è il soffio di liberazione contro la statica soffocante. Bellezza della forma inevitabilmente squilibrata. […] Osserviamo il trucco di questo strano futurista-passatista. Finetti ama armonizzare il movimento della figura con il paesaggio; certo volutamente, egli getta dietro alle sue figure stracci, luci, paesaggi che stranamente si conformano col dinamismo del quadro. Un cavallo che salta sembra trascinarsi dietro un pezzo di terreno; in Boccioni ciò sarebbe la vibrazione spaziale del dinamismo umano; in Finetti è semplicemente terreno. Ma non è forse spontaneo (e lo spero). […] Finetti, insomma, fa della propaganda futurista fra il pubblico sospettoso. Con ciò non lo intendo svalutare. È un pittore che concreta ottimamente il dinamismo, il volume, il colore. Questo non basta per farlo grande?”. (DELNERI 2009, pp. 348-349)
Pinacoteca estate, Pinacoteca d'estate. Viaggio nel primo '900. Opere della Pinacoteca dei Musei Provinciali di Gorizia, s.l. 2010
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Novecento Gorizia, Il Novecento a Gorizia. Ricerca di una identità. Arti figurative, Venezia 2000, Arti figurative
Gino de Finetti, Gino de Finetti. Manifesti, dipinti e disegni, Venezia 1999
Gino de Finetti, Gino de Finetti. Manifesti, dipinti e disegni, Venezia 1999
Mito sottile, Il mito sottile. Pittura e scultura nella città di Svevo e Saba, Trieste 1991
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Arti Gorizia, Le arti a Gorizia nel secondo 900, Udine/ Gorizia 1987
Damiani L., Arte del Novecento in Friuli. Il liberty e gli anni Venti, Udine 1978, I
Gino Finetti, Gino de Finetti. Mostra ricordo allestita nel centenario della nascita dell'artista, Gradisca d'Isonzo (GO) 1977, n. 5
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Gino Finetti, Gino von Finetti, Gemälde und Zeichnungen, Berlino 1928