Il Carso, dipinto, Celiberti Giorgio, XX

Oggetto
dipinto
Soggetto
paesaggio montano: Carso
Autore
Cronologia
1954
Misure
cm - altezza 59.9, larghezza 100
Codice scheda
OA_7908
Collocazione
Gorizia (GO)
Palazzo Attems Petzenstein
Musei Provinciali. Pinacoteca
Iscrizioni

Paesaggio carsico reso con pennellate decise e larghe in cui emergono le rocce dai toni bianchi e la vegetazione verde acceso. Traspare a tratti la terra rossastra e sullo sfondo è presente una muratura bianca. Il cielo è di un blu molto intenso.

Nato a Udine nel 1929 Giorgio Celiberti fu introdotto giovanissimo all’arte grazie allo zio Angilotto Modotto fondatore della Scuola Friulana d’Avanguardia. La sua formazione è da autodidatta anche se frequenta per un breve periodo il Liceo Artistico di Venezia e nella città lagunare conosce nel 1946 Emilio Vedova che ne riconobbe il talento e lo mise in contatto con l’ambiente culturale veneziano di quegli anni. Nel 1948, a soli 19 anni, entra nel panorama artistico internazionale grazie alla sua partecipazione alla Biennale di Venezia con il dipinto “Ferrovia”. A Venezia frequenta anche Carlo Ciussi, Marco Fantoni e Romano Parmeggiani e con Tancredi divide la stanza alla pensione Accademia.A Venezia alla Galleria Sandri ci fu nel 1949 la sua prima personale e dal 1950 al 1954 è invitato alle Biennali. A partire dal 1951 è a tutte le Quadriennali di Roma. In questo periodo realizza le celeberrime “Serre” che risentono sia del linguaggio postcubista che espressionista capaci di tradurre una visione del paesaggio tra astrazione e figurativo. Si tratta di un momento di inquietudine formativa che lo porta anche a recarsi all’estero a partire dagli inizi degli anni ’50: Parigi, Bruxelles, Londra, Stati Uniti e Sud America diventano mete artistiche in cui frequentare artisti e musei. Dal 1958 si trasferisce a Roma sino al 1967 e qui partecipa attivamente alla vita artistica della capitale legandosi a critici e artisti come Campigli, De Chirico, Guttuso. Le opere realizzate durante il suo soggiorno romano, riprendono il repertorio iconografico della tradizione figurativa: nature morte, ritratti, paesaggi resi con il linguaggio neocubista mediato da Guttuso. In sostanza si tratta di composizioni costruite con una pennellata decisa dove forme ed oggetti riempiono lo spazio secondo direttrici che scandiscono l’ambiente circostante. Un momento fondamentale nella storia umana ed artistica di Celiberti è la visita nel 1965 al carcere nazista di Terezìn, lager dove morirono migliaia bambini ebrei. Le frasi e i graffiti lasciati dalle giovani vittime sulle pareti delle loro celle e i diari e libretti di poesie scritti dai bambini mutarono per sempre l’animo e la sensibilità artistica di Celiberti il quale disse: “[…] prima dipingevo nature morte, animali, interni-esterni in un modo più o meno astratto […]. Poi andando avanti mi sono imbattuto in quei muri, in quelle tragiche finestre, in quei cuori rossi e bianchi, in quelle cancellature, elenchi, farfalle, piccole colonne di numeri[…] da quel momento io ho visto tutta la mia pittura per segni e testimonianze, come qualcosa che meritasse di essere riferito, perché avevo già operato una fatica per vivere e sopravvivere […]”. (Celiberti, a cura di M. Goldin, Milano, 1996, pp. 11-12). Il ciclo delle pitture dedicate al lager di Terezìn segna la maturità artistica di Celiberti in cui dipingere o graffire cuori e farfalle in modo reiterato diventa un omaggio per ricordare questo terribile massacro. Ritornato a Udine già dal 1967, l’artista a partire dagli anni ’70 apre una nuova stagione artistica con la serie “Affreschi” e “Muri”. La tavolozza si fa più chiara, i colori prediletti sono l’azzurro, il bianco, il rosso, le lettere dipinte o graffite sono messaggi di amore e di perdono. In questa fase predilige la tecnica dell’affresco con la quale può incidere la superficie e creare diversi spessori materici sul supporto. Nel 1975 la produzione dei cosiddetti “Muri antropomorfici” nasce invece da una sua personale riflessione su reperti archeologici di Porto, vicino a Fiumicino, della Roma paleocristiana, Aquileia romana e Cividale longobarda. Una rivisitazione all’arte del passato, un omaggio, una citazione sono frequenti nelle opere di questi anni in cui si scorgono sulla superficie, figure come bassorilievi. Si affianca a questa produzione anche quella dei “Fiori bianchi”, non senza trascurare la parallela attività come scultore iniziata a partire dai primi anni ’60. Le sue opere scultoree sono una singolare simbiosi tra plasticità ed espressione pittorica che partono da temi zoomorfi ed approdano nelle celeberrime “Stele” le quali sembrano richiamare pietre tombali incise da enigmatici geroglifici.Prolifica la sua attività espositiva a livello di mostre personali e collettive. Una sua antologica venne organizzata nel 1980 alla Galleria Spazzapan di Gradisca d’Isonzo; nel 1984 espose alla Fondazione Pagani di Milano; nel 1985 a Villa Simes Contarini di Piazzola sul Brenta e nelle ville venete di Carbonera. Nello stesso anno il Comune e l’Azienda di soggiorno e turismo di Trieste colloca in città e al Castello di San Giusto e di Miramare le sue stele e sculture, come fece a cavallo tra il 1985 e 1986 anche il Comune di Udine tra le vie cittadine. Tra la fine degli anni ’80 e inizi ’90 molteplici sono state le esposizioni a lui dedicate sia in Italia che all’estero. Nel 1991 importanti realizzazioni pubbliche compiute da Celiberti sono il “Mosaico dell’amicizia” nell’atrio dell’Università di Lubiana e il decoro ad affresco della volta dell’Hotel Kawakyu di Schirahama in Giappone. Nel gennaio del 1996 si è aperta a Palazzo Sarcinelli di Conegliano un’importante antologica, mentre l’anno seguente Celiberti vinse il primo premio di pittura alla biennale di Dubrovnik mentre venne allestita una grande mostra a lui dedicata a Villa Manin di Passariano. Naturalmente per tutti gli anni ’90 sino ai giorni nostri numerose sono state le esposizioni nazionali ed internazionali che hanno continuato e celebrare il suo estro artistico. L’opera presente nelle collezioni museali goriziane risale alla metà degli anni ’50 e raffigura in chiave abbastanza naturalistica un paesaggio carsico. I colori forti e stridenti e la resa delle rocce in primo piano dalla struttura tagliente, mostrano un cauto approccio alla sintassi neocubista secondo i moduli espressivi adottati in quel tempo dai pittori neorealisti. Il dipinto giunse ai Musei Provinciali grazie all'Ente Città di Gorizia e fu esposto alla IV Mostra giovanile internazionale d'arti figurative del 1954, edizione allora presieduta da Rodolfo Pallucchini, Segretario Generale della Biennale veneziana. Con questo quadro Celiberti vinse il premio Città di Gorizia, e fu presente all’esposizione anche con il dipinto “Paesaggio”. Proprio nell’edizione del 1954 si evidenziò una nutrita presenza di pittori neorealisti, tra i quali si distinse anche Altieri, dimostrando come anche a Gorizia fosse acceso il dibattito tra astrattisti e neorealisti. Interessante notare che Celiberti, negli anni in cui esponeva alle Biennali veneziane e alle Quadriennali romane, prende parte anche alle mostre d’arte contemporanee di Gorizia organizzate dall’Associazione giovanile Italiana a partire dal 1948 fino al 1958. Queste mostre furono un vero e proprio trampolino di lancio per giovani artisti al disotto dei trent’anni, ovvero per quella generazione che cominciò a proporre nel panorama figurativo nazionale ed internazionale un nuovo modo di fare arte lontano dagli schemi tradizionali.

BIBLIOGRAFIA

Pinacoteca Musei, Repertorio di ulteriori opere della Pinacoteca dei Musei Provinciali di Gorizia, in La Pinacoteca dei Musei Provinciali di Gorizia, Vicenza 2007

Catalogo Mostra, Catalogo della IV mostra Giovanile internazionale d'arti figurative, Gorizia 1954

Bevilacqua E., Giorgio Celiberti. Frammenti di vita, in Celiberti. Le strade di un uomo, Manzano (UD) 2010

Celiberti Opere, Celiberti. Opere 1965-1997, Venezia 1997

Celiberti, Celiberti, Milano 1996

Venturoli M., Celiberti. Opere 1965-1980. Quindici anni di pittura, Gradisca d'Isonzo (GO) 1980