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in basso a sinistra: Italico Brass
La scena è uno scorcio di una piazza con sullo sfondo delle case. Delle persone ritratte di spalle assistono ad uno spettacolo di marionette allestito in un teatrino di strada. Una delle marionette è Arlecchino. Tra gli spettatori vi sono uomini, donne, bambini e due carabinieri. Una bambina, sulle spalle di una persona, sventola con entrambe le mani due bandierine italiane. Sulla piazza vi sono anche un cane che corre e dei colombi. Sullo sfondo, a destra, si scorge la copertura in tela di una bancarella.
Allievo del paesaggista Karl Raupp presso l’Accademia di Belle Arti di Monaco di Baviera, Italico Brass soggiornò, all’inizio degli anni Novanta dell’Ottocento, a Parigi dove ebbe modo di entrare in contatto con William Adolphe Bouguereau e Jean Paul Laurens. Rientrato in Italia nel 1895, si stabilì definitivamente a Venezia, pur continuando a mantenere uno studio nella sua città natale fino al 1899. Sin dai primi anni di residenza veneziana, la laguna, i campielli e le calli della città divennero i motivi ispiratori dei suoi dipinti andando a sostituire, sempre più frequentemente, nel repertorio dei soggetti prediletti dall’artista, i ritratti e le composizioni di genere degli anni giovanili. Il dipinto di cui si tratta, donato dal figlio dell’artista ai Musei Provinciali di Gorizia nel 1969, riprende uno scorcio di Campo S. Margherita a Venezia orchestrando la composizione sul teatrino delle marionette attorno al quale si assiepa un variopinto pubblico di adulti e bambini. Gli spettatori, raffigurati rigorosamente di spalle, appaiono intenti a godersi lo spettacolo messo in scena da Arlecchino e i suoi compagni. La varia umanità di sagome che affolla lo spazio della veduta ricorda certe ardite soluzioni adottate da Giandomenico Tiepolo negli affreschi della villa di famiglia a Zianigo (oggi a Ca’ Rezzonico a Venezia). In particolare, l’opera di Brass pare suggestionata dall’invenzione tiepolesca de Il mondo novo dove i protagonisti, ritratti di schiena, appaiono totalmente inconsapevoli e ignari del proprio ruolo di attori dell’umana commedia sul quotidiano palcoscenico del mondo. La tela, di cui si conosce una differente versione pubblicata da Nebbia nel 1935 (ubicazione ignota), è caratterizzata da una pennellata libera e sciolta che documenta l’avvenuto contatto del suo artefice con la pittura veneziana settecentesca ed in particolare con quella di Francesco Guardi a cui l’artista goriziano guardò sempre con attenzione. Tali evidenze stilistiche hanno indotto la critica a datare il dipinto ad un periodo compreso tra il 1906 e il 1908 per le consonanze rilevabili con altre tele della stessa epoca e di soggetto analogo come quella dal titolo I burattini (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna). (GRANSINIGH 2007, p. 148)
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