Paesaggio con monaci, dipinto, Ricci Marco, XVIII

Oggetto
dipinto
Soggetto
paesaggio con figure: monaci
Autore
Ricci Marco (1676/ 1729)
Cronologia
1723 - 1725
Misure
cm - altezza 34.5, larghezza 46.2
Codice scheda
OA_7719
Collocazione
Gorizia (GO)
Musei Provinciali di Borgo Castello
Musei Provinciali. Pinacoteca

Paesaggio con due monaci ritratti a sinistra della composizione. Indossano vesti bianche: uno è in piedi e si poggia ad un bastone, l'altro è seduto ed ha a fianco un cesto. Verso destra è dipinto un mandriano con due mucche e due capre. In secondo piano, lungo una strada che percorre un terrapieno, troviamo a sinistra un altro mandriano con due mucche e una capra e a destra un cavaliere e due uomini. Sulle colline in secondo piano è dipinta a destra una cittadina con chiesa e campanile e verso sinistra, più in lontananza, un altro agglomerato di case. Sullo sfondo sono visibili le montagne azzurrine. Il cielo è terso e solcato da nuvole rosate.

Battuto all'asta londinese Sotheby's il 15 marzo 1963, lotto n. 2, il Paesaggio con monaci passava in collezione privata svizzera e, successivamente, in quella di Antonio Morassi che, il 4 novembre 1967, lo donava ai Musei della sua città natale in memoria del figlio Mauro prematuramente scomparso. In occasione della mostra Da Carlevarijs ai Tiepolo - Incisori veneti e friulani del Settecento, tenutasi nel 1983 a Palazzo Attems, la tempera di Marco Ricci veniva messa per la prima volta in relazione con una acquaforte di Davide Antonio Fossati (1708-1779 ca) che, con le consuete caratteristiche di corsiva freschezza, riprendeva in controparte il dipinto di Ricci rispettandone ogni dettaglio (Succi 1983, nn. 204-205). Il foglio fa parte della silloge pubblicata da Fossati a Venezia nel 1743, comprendente ventiquattro incisioni derivate da opere di Marco Ricci appartenenti alle collezioni di Joseph Smith e di Anton Maria. Le tavole sono precedute da un frontespizio con la dedica al conte Francesco Algarotti [...]. Sono noti due stati della raccolta: il primo reca sulla lastra, in basso (a destra o a sinistra), le iniziali dell'incisore ADF; il secondo conserva la sigla sulla lastra e riporta sul margine inferiore la dicitura Mar. Ricci pinx (a sinistra), con la numerazione progressiva dalla tavola I alla XXIV (a destra). In nessuno dei due stati si fa menzione della collezione - Smith o Zanetti - cui appartenevano le opere di Ricci. Tuttavia, grazie alla lungimiranza di Joseph Smith, che riuscì a salvaguardare dalla dispersione gran parte delle sue raccolte vendendole nel 1762 a Giorgio III d'Inghilterra, è possibile risalire alla originaria provenienza dei dipinti: le tempere di proprietà del mecenate inglese residente a Venezia costituiscono, infatti, un prezioso nucleo della Royal Collection di Windsor Castle che, tuttora integro, è costituito da trentadue esemplari (M. Levey, The later italian pictures in the Collection of her Majesty the Queen, Cambridge 1964, nn 591-622). Otto di queste opere furono incise da Fossati e, pertanto, risulta evidente che le altre sedici tavole comprese nella silloge furono tratte da tempere della collezione di Zanetti, cui chiaramente apparteneva anche il Paesaggio con monaci ora ai Musei Provinciali di Gorizia. La tempera è databile alla prima metà del terzo decennio, quando si intensificarono i rapporti tra Zanetti e Marco che, proprio su sollecitazioni del connoisseur, iniziava nel secondo semestre del 1723 a dedicarsi all'acquaforte. Zanetti, da parte sua, cominciava a collezionare dipinti dell'artista bellunese, come provato da due testimonianze coeve. La prima è di Mariette (Abecedario de P. J. Mariette et autres notes inédites de cet amateur sur les arts et les artistes, [ante 1774], Archives des l’Art Français, 1853-1862, tomo IV, p. 392) che, recatosi in visita da Zanetti sul finire del 1718, riferiva di avere visto «un nombre considerable» di disegni di Marco, senza peraltro menzionare alcun dipinto. La seconda è dello stesso Zanetti il quale, in una lettera a Gabburri datata 10 agosto 1726, riferendosi ad un suo visitatore scriveva: «[...] restò egli molto contento [...] in vedendo 24 de'suoi [di Marco] quadretti, che io mi ritrovo ad avere, e 200 de'suoi disegni» (G. Bottari, S. Ticozzi, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura, architettura, scritte dai più celebri personaggi, Milano 1822-1825, vol. II, p. 176). I due documenti provano che soltanto dopo il rientro da Vienna a Venezia (1722) Zanetti si interessò dell'attività pittorica di Marco collezionando un numero considerevole di tempere («quadretti») che continuò ad acquistare fino alla morte dell'artista (1730). Il Paesaggio con monaci faceva probabilmente parte del gruppo di tempere acquisite da Zanetti entro il 1726, poiché negli ultimi anni Marco Ricci si dedicò quasi esclusivamente alla produzione di capricci, superba sintesi di pittoresche invenzioni paesistiche dominate da “rottami antichi”: motivi disparati - rocchi di colonne, sfingi, vasi, archi, monumenti in rovina, piante parassite, alberi spezzati - che, levigati da una luminosità diffusa e fluente, si dispongono in un mondo evanescente rivelato, quasi ultimo canto, da brani di visionaria lucidità e di meditata, accorata poesia. Nel dipinto qui considerato l’artista, avvalendosi di una tecnica disinvolta e di rapida esecuzione, immerge la visione paesistica, intimamente rivissuta nell’affettuosa contemplazione degli elementi naturali ed umani, in una luminosità fresca e diffusa. L’ombra vellutata dei primi piani, in cui riluce il candore dei due monaci in sosta sotto le fronde filtrate dal sole, si perde nell’incantevole stesura dorata della valle con la strada percorsa da viandanti, mandriani e cavalieri a galoppo: una lama luminosa che si staglia nel piano di mezzo dilatando lo spazio e conducendo l’occhio dell’osservatore verso l’incantevole stesura azzurrina dei monti lontani e le tizianesche dissolvenze rosate del nitido cielo. Con Marco Ricci nasce a Venezia una maniera nuova di esprimere la natura che diventa, assieme all’uomo, protagonista di una storia ideale e quotidiana: il susseguirsi delle stagioni si condensa in luoghi senza nome e tuttavia familiari perché riconoscibili nella pluralità del linguaggio architettonico che rimanda alla stratificazione del paesaggio veneto. Nella quiete delle colline e delle valli del Piave, il pittore ritrivava la realtà di una natura intesa non come Arcadia ma come meraviglia e stupore di fronte allo spettacolo dei monti, delle valli, dei fiumi, degli alberi dalle chiome opulente esaltate dalla qualità particolare, transuente della luce. Formatosi nella cerchia dei collaboratori dello zio Sebastiano Ricci, comprendenti l’anconetano Antonio Francesco Peruzzini e il genovese Alessandro Magnasco, Marco seppe assimilare genialmente le tematiche di gusto tardobarocco innestandole su una sensibilità tipicamente veneta che si era forgiata sulla conoscenza diretta degli insuperabili esempi dei paesaggi eroici di Giorgione e Tiziano. Nel suo processo formativo fu importante anche il contatto con gli esempi della pittura paesistica olandese e fiamminga, che l’artista ebbe modo di apprezzare nelle gallerie dei raffinati conoscitori cui prestò la propria opera a partire dalla metà del primo decennio del Settecento. Dopo aver lavorato per il Gran Principe di Toscana e la sua corte (1706 – 1707), l’avventura artistica di Marco Ricci fu contrassegnata da crescenti successi: nel 1708 accolse l’invito di Charles Montagu, quarto conte di Manchester, di seguirlo in Inghilterra, dove si trattenne fino al 1716 eseguendo prestigiose commissioni per i più influenti mecenati dell’epoca (Charles Howard, terzo conte di Carlisle, Sir Andrew Fountaine, Richard Boyle, terzo duca di Burlington). Rientrato definitivamente a Venezia (1716), l’artista stabilì un assiduo rapporto di frequentazione e di amicizia con Joseph Smith, il futuro console inglese a Venezia che proprio allora iniziava la sua favolosa collezione di dipinti e di antichità. Oltre che a divenire uno dei primi artisti protetti da Smith, Marco Ricci stabilì relazioni di sincera amicizia con Anton Maria Zanetti Senior, il finissimo conoscitore veneziano che, appassionato cultore di grafica, suscitò nel bellunese l'interesse per l'arte incisoria. L'artista si spense a Venezia il 21 gennaio 1730 e, due decenni dopo, l'abate Girardi (Descrizione de’ cartoni disegnati da Carlo Cignani, e de’ quadri dipinti da Sebastiano Ricci posseduti dal Signor Giuseppe Smith con un compendio della vita de’ dua celebri pittori, Venezia 1749, p. CLVIII) lo ricordava annotando: "Da chi il conobbe vengo a sapere, ch'esso Marco fu bizzarro e allegro di temperamento, gracile adusto e macilente di corporatura, nobile di aspetto, cortese e onorato nel conversare, noncurante di ricchezze, tollerante le avversità".(DELNERI 2007, p. 68).

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BIBLIOGRAFIA

Delneri A., Schede, in La Pinacoteca dei Musei Provinciali di Gorizia, Vicenza 2007

Marco Ricci, Marco Ricci e il paesaggio veneto del Settecento, Milano 1993

Succi D., Da Carlevarijs ai Tiepolo. Incisori veneti e friulani del Settecento, Venezia 1983

Maestri pittura, I maestri della pittura veneta del '700, Milano 1973

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