Ritratto di santo a mezzo busto di tre quarti verso destra. Il volto è rivolto verso il basso ed è ritratta al petto la mano sinistra. Indossa un saio nero. Ha barba e capelli grigi e aureola. Lo sfondo è un cielo di azzuro intenso solcato da trasparenti nuvole bianche. In alto a destra appare il sole raggiato.
Il dipinto fa parte di una squisita suite di cinque pastelli con cornice originale donati il 20 settembre 1909 dal conte Carlo Coronini. La giusta attribuzione a Francesco Pavona veniva ripresa dalla tradizione familiare dei Coronini e registrata da Giovanni Cessar ai nn. 6-10 dell'inventario n. 17 in cui venivano elencate le opere dei "Pittori stranieri". Dopo quasi due secoli di oblio, l'opera di Francesco Pavona nel Goriziano veniva fatta conoscere da Guglielmo Coronini Cronberg in occasione della mostra Il Settecento goriziano tenutasi a Palazzo Attems nel 1956. Nell'esposizione figuravano numerosi pastelli di formato diverso (quattro ovali con santi non identificati, un San Giuseppe, una Madonna e una Visitazione; si veda CORONINI CRONBERG 1956, p. 51) appartenenti alla collezione dei baroni Leventzow-Lantieri di Gorizia e tradizionalmente attribuiti all'artista di origine friulana, paternità tuttavia accolta con riserva da Coronini. I dipinti Lantieri furono in seguito studiati da Mercedes Precerutti Garberi, cui si deve il primo attento e circostanziato profilo di Pavona (1962, pp. 128-144), che li accostava a quelli dei Musei Provinciali qui esaminati propendendo per una datazione giovanile di entrambe le serie, prima che l'artista lasciasse il Friuli. Aldo Rizzi (1968, p. 128) osservava, tuttavia, che nelle opere goriziane «l'insegnamento del Carneo e le sollecitudini del manierismo locale, da ricondursi al Quaglio, siano già decantati in una resa più matura, che postula l'incontro col Piazzetta e l'ammirazione del Reni: lo attestano le morfologie, il patetismo esteriore e l'atmosfera levigata e zuccherina. Anche la tecnica, sciolta e preziosa, insinua il sospetto che si tratti di opere mature». Il giudizio di Rizzi veniva condiviso da Tavano (1982, p. 231) e da Pallucchini (1995, p. 283), che riconduceva le teste di santi delle collezioni goriziane all'epoca del soggiorno veneziano di Pavona della prima metà del quinto decennio, quando l'artista si era «riavvicinato ai modi della Carriera, che trovavano facile consenso nel pubblico». La serie di pastelli qui considerati, caratterizzati da un cromatismo morbidamente modulato, che fa vibrare le note accese dei colori delle vesti per dare maggior risalto alla costruzione dei volti modellati nella luce, sono innegabilmente opera della maturità artistica di Pavona. Altrettanto evidente è l'influenza della ritrattistica di Rosalba Carriera che Pavona, a pochi anni dalla scomparsa della grande artista (1737), prende a modello per realizzare la sua originale serie di santi destinati alla devozione familiare: una pittura religiosa che, unica nel suo genere, declina la festosità rococò in patetismo intimo ed elegante. (DELNERI 2007 p. 64).
Delneri A., Schede, in La Pinacoteca dei Musei Provinciali di Gorizia, Vicenza 2007
Šerbelj F., La pittura barocca nel goriziano, Ljubljana 2002
Pallucchini R., La pittura nel Veneto. Il Settecento, Milano 1995/ 1996, 1-2
Maria Teresa, Maria Teresa e il Settecento Goriziano, Gorizia 1982
Malni Pascoletti M., Il Seicento ed il Settecento nel Goriziano, in Enciclopedia Monografica del Friuli Venezia Giulia, Udine 1980, III/ 3
Bradaschia G., Andiamo insieme a visitare i Musei Provinciali di Gorizia, Gorizia 1978
Rizzi A., Storia dell'arte in Friuli. Il Settecento, Udine 1967
Precerutti Garberi M., Profilo di Francesco Pavona, in Commentari, 1962, n. 13
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