Lo stabile si alza per cinque piani fuori terra, al di sopra dei quali si trova una soffitta. Al piano terra, da un androne passante che conduce al cortile retrostante, si dipartono due rampe di scale in pietra che portano ai piani superiori. In facciata l’edificio si caratterizza per l’ingresso centrale ad arco a tutto sesto, affiancato simmetricamente dalle aperture delle originarie botteghe. A destra e a sinistra del portale d’accesso vi sono infatti un portoncino centrale tra due finestre laterali incorniciate da elementi squadrati di pietra. Sopra al portale, al secondo piano, retto da tre mensoloni sagomati, si trova un balcone con ringhiera in ferro battuto. Sulla terrazza si aprono due porte uguali accoppiate, delimitate da stipiti con basi e capitelli modanati che terminano in sommità con archi ribassati; più sopra una cimasa ad architrave copre le due aperture. I piani superiori mostrano una disposizione non simmetrica delle forature. Infatti, le finestre della facciata, pur essendo allineate regolarmente in verticale, non sono in asse con il portone d’ingresso centrale.
La presenza ebraica a Gorizia si consolida a partire dal Cinquecento, quando gli ebrei cominciano a svolgere un ruolo economico sempre più importante, nonostante le limitazioni e gli editti di espulsione. L’antico quartiere ebraico, il primo nucleo in cui risiedono gli ebrei goriziani, è situato alle pendici del castello. Nel 1684, su ordine dell’imperatore Leopoldo I, viene istituito il ghetto, nella “contrada di San Giovanni”, in una zona della città situata verso il torrente Corno. Si tratta di una zona periferica che si adatta bene alla nuova destinazione: chiusa a nord e a ovest dal corso d’acqua e a sud dalla chiesa di San Giovanni. Il trasferimento definitivo delle famiglie ebree avviene nei due anni seguenti. Dalla fine del Settecento, con l’abolizione di ogni sorta di discriminazione religiosa, gli ebrei goriziani diventano pienamente partecipi della vita civile ed economica della città. Possono infatti svolgere liberamente qualunque mestiere, in particolare la produzione di seta e cera, l’oreficeria, la concia delle pelli, il prestito di denaro e il commercio. All’inizio dell’Ottocento, sotto la dominazione francese, il ghetto viene definitivamente abolito con l’estensione agli ebrei di tutti i diritti civili. La via principale del ghetto, intitolata nel 1880 a Graziadio Isaia Ascoli, noto glottologo di origine goriziana, in seguito ai provvedimenti razziali del 1938, nel 1940 viene rinominata via Tunisi. Durante l’occupazione nazista nel novembre del 1943 tutti gli ebrei rimasti in città vengono arrestati e deportati. La via riprende il nome di Ascoli solo nel 1950. La strada principale del ghetto, sviluppatasi a partire dal XVIII secolo, ancora oggi mantiene in gran parte il suo aspetto originario. Le strutture edilizie costituiscono un organismo continuo, dal quale si dipartono dei corpi perpendicolari all’asse stradale. I fronti strada si caratterizzano per le case alte, le cornici in pietra delle aperture, i caratteristici balconi in ferro battuto, il portone d’ingresso sormontato da un arco affiancato dai fori laterali a servizio dei locali a destinazione non abitativa. Al piano terra si trovavano le botteghe e ai piani superiori le abitazioni, mentre l’ultimo piano era la sede del setificio, una delle attività più fiorenti del ghetto, capace di impiegare centinaia di addetti, tra i quali molti cristiani. Nel 1728 – prima fra le altre di Gorizia - la via principale del ghetto viene pavimentata con un manto stradale in ciottoli. Qualche decennio dopo, nel 1756, sempre nel cuore del ghetto, viene costruita la sinagoga di rito ashkenazita, ricavata dall’ampliamento di un oratorio realizzato nel 1699. L’aspetto attuale dell’edificio, con il doppio portale di ingresso, il rosone e le tavole della legge in caratteri ebraici, è frutto del restauro realizzato dall’ingegnere Emilio Luzzatto nel 1894. Negli anni Cinquanta del Novecento, il quartiere viene risanato, a seguito della demolizione di alcuni edifici fatiscenti che sorgevano in aderenza alla sinagoga. Molte delle antiche case di via Ascoli, dopo decenni di abbandono e decadenza, sono state acquisite dall’attuale Azienda Territoriale per l'Edilizia Residenziale e sono state oggetto di un accurato restauro.
Muratura in pietrame, intonacata. Solai dei piani superiori in travature di legno. Struttura del tetto in legno e manto di copertura in coppi.
Roselli A., Il ghetto di Gorizia: edilizia e urbanistica, in Ha-tikvà: la speranza attraverso l'ebraismo goriziano, Monfalcone (GO) 1991
Spangher L., Il ghet, in Sot la Nape, Udine 1975, a. 27, n. 4