Giacomo Leonardis, incisore (Palmanova 1723-Venezia 1797), dopo una prima formazione nella bottega di Pietro Bainville, nel 1741 si trasferì a Venezia. In una lettera del 1772 indirizzata a Giacomo Carrara, A. M. Zanetti definì il Leonardis "un intagliatore, che non è senza disegno", qualità che certo derivò dall'apprendistato presso il Tiepolo. Nel 1745 abbandonò il disegno per dedicarsi all'incisione, probabilmente lavorando nella bottega di Giuseppe Wagner, incisore e stampatore presente a Venezia dal 1739, la cui calcografia divenne un centro con funzioni guida. L'influenza del maestro tedesco è evidente nei rami del nostro: "il suo linguaggio grafico è caratterizzato da un fitto tratteggio ad incrocio che associa ai morbidi effetti dell'acquaforte i precisi e netti tagli della dura punta del bulino. La tecnica non disgiunta da una particolare sensibilità al segno, consente all'incisore di ottenere un'ampia gamma chiaroscurale in cui il bianco e il nero per ricchezza di sfumature e passaggi, l'equivalente delle specifiche qualità dei colori" (Delneri 1983, p. 195). Verso il 1760 l'artista palmarino aprì una stamperia in proprio, traducendo in rame dipinti dei più acclamati maestri. Lavorò per i migliori editori veneziani dell'epoca, sia per illustrare grandi opere, che romanzi, anche stranieri; attività che dal 1757 la sua attività principale, nell'ambito di quel rilancio e riqualificazione dell'arte incisoria e di quella editoriale che diventano "raffinatissimo documento" della cultura veneziana settecentesca. L'ultima opera datata con l'in, sempre appartenenti dicazione della sua bottega risale al 1773; si può quindi ritenere che, dopo questa data, egli abbia cominciato a servirsi dei grandi maestri stampatori dell'editoria: Wagner, Furlanetto, Alessandro Innocenti, Pietro Scattaglia e Teodoro Viero. Realizza così una serie di tavole tratte dai quadri dei più noti collezionisti veneziani del tempo, come l'Algarotti e lo Smith, a cui più tardi se ne aggiungerà un'altra, ricavata solo da quadri di formato verticale, sempre appartenenti a collezionisti veneziani. Negli stessi anni si dedica anche a incisioni di soggetto religioso, che rispondono alle esigenze encomiastiche, devozionali e celebrative del tempo. Il giudizio di Moschini (1924, p. 126) - molti ricorrevano per averne lavori, a lui estimato esatto e nel disegno e nel conservare il carattere degli autori le cui opere intagliava. Ed era intelligente eziandio nell'arte, quantunque il suo bulino non sappia nascondere lo stento nel condurlo - è stato rivisto dalla critica, secondo cui Leonardisè invece abile nel bulino, anzi rasenta l'eccessivo virtuosismo, giustificato però dall'esigenza di rendere con la massima evidenza l'"opera tradotta". Anche Morazzoni (1943, p. 197) sottolinea che la molta considerazione di cui godeva era dovuta alla "scrupolosa esattezza nel coservare attraverso la sua traduzione il carattere dei modelli che copiava", che per la vecchia critica è condizione fondamentale, mentre secondo la Frongia (1971, p. 228) dimostra autonomia e in qualche caso "estro creativo" sia dal punto di vista tecnico che della lettura e dell'interpretazione dell'opera dalla quale dipende. Come evidenzia Marini (1995, p. 545) l'esperienza di straordinaria ricchezza grafica vissuta nello studio dei Tiepolo predispone facilmente anche Giacomo Leonardis ad una sensibilità traduttiva delle specifiche qualità cromatiche degli originali di Giambattista e Giandomenico, e fa di quello il migliore del suo impegno di riproduzione e di illustrazione libraria. L'artista fu impiegato nell'incisione delle splendide illustrazioni del Goffredo, ovvero Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, pubblicata da Antonio Groppo nel 1760-61. Nella splendida edizione vi è una straordinaria adesione delle figure al testo. Ogni cato è preceduto da una tavola incorniciata da un fregio: i disegni di Bernardo Castelli sono intagliati da Leonardis con una cura che rivela non soltanto la piena padronanza della tecnica acquafortistica ma anche una sensibilità al segno che riflette il suo estro creativo. Le incisioni raffigurano gli avvenimenti salienti della seconda crociata: mentre in primo piano vengono illustrati gli episodi più significativi che portarono alla vittoria le armi crociate, sullo sfondo compare sovente Gerusalemme. Il linguaggio grafico è minuzioso, i particolari sono definiti con precisione; gli orizzonti chiari illuminano delicatamente le scene, creando un gioco chiaroscurale sottilissimo che dà rilievo alle figure. Diversa è la grafia delle vignette intercalate nel testo; un segno rapido e brioso traduce i disegni di Pier Antonio Novelli, illustranti con fresca vivacità un mondo di incanti e amori, rispondendo così, in coerenza con il testo, a una duplice esigenza di "vero" e di "mondano" che Tasso esprime nel suo poema dove la materia religiosa è arricchita dalle avventure di personaggi "cavallereschi" (Delneri 1983, p. 196).