Il sito, localizzato sulla sommità del colle Balcone, è oggi raggiungibile attraverso un sentiero che dalle pendici occidentali del rilievo perviene a un piazzale moderno, dominato in alto dai resti archeologici del castello. Non si conosce con esattezza, invece, quale fosse l’antica via d’accesso al fortilizio, forse corrispondente a uno dei due tracciati – noti rispettivamente come “strada comunale di S. Rocco” e “strada del Bosco” - che si sviluppavano lungo il versante occidentale e meridionale del monte. Le limitate esplorazioni archeologiche finora condotte nel sito, per lo più sulla sommità nord-orientale del colle, consentono una ricostruzione parziale della topografia del luogo, anche a causa dei mutamenti dell’assetto dell’area intercorsi soprattutto dopo i primi scavi, non sistematici, condotti nei recenti anni ’70. Il complesso, nella sua strutturazione definitiva, risulta delimitato da un perimetro murario più interno, parzialmente ricostruibile sulla base di una muraglia in pietra dello spessore di m. 1.10-1,50, dotata di feritoie, conservata a tratti soprattutto lungo i lati orientale e meridionale del sito. A questa cinta, presumibilmente la più antica difesa del castello, fu aggiunto in una fase tarda un bastione semicircolare, elevato a protezione del lato est del colle. All'interno della cinta, in corrispondenza della parte più elevata e strategicamente rilevante del rilievo, si sviluppava il nucleo castellano, entro il quale sono stati individuati la torre-mastio e quattro ambienti quadrangolari (B-E) che circondavano una corte interna, lastricata, a cui si accedeva da un piazza in pendenza. Presso la piazza dovevano aprirsi due accessi alla corte, uno pedonale, probabilmente coperto da una volta a botte, e uno carrabile. Gli ambienti B, C e D risultano allineati sul lato nord-est della corte; essi appaiono realizzati posteriormente alla muraglia di recinzione che corre alle spalle dei primi due e che si interrompe in corrispondenza di D, anch’esso appartenente a una fase strutturale successiva a quella di impianto. Non si conosce la destinazione d’uso di questi ambienti, anche a causa della decontestualizzazione dei reperti qui recuperati negli anni ’70. In ogni caso, il vano B era dotato di una volta a botte; resti di una macina rinvenuti all’interno di C potrebbero configurarlo come un ambiente di servizio. L’ambiente E, che conserva al centro la base di un pilastro per sorreggere un originario soffitto a volte, era forse adibito ad attività di corte o amministrative, come dimostrerebbero la sua struttura e alcuni materiali in esso rinvenuti, come due denari aquileiesi e una bolla plumbea del doge Michele Steno. Tra i vani D e E, nel punto più alto del colle, si ergeva la torre quadrata (m 6.17 x 6.26, misure esterne). Presso il lato nord e lo spigolo nord-est di questa è stata rilevata la presenza di muretti a secco semplicemente appoggiati, che potrebbero appartenere a una fase di utilizzazione agricolo-pastorale dell’area, successiva alla dismissione del castello. Una seconda cinta muraria, più esterna, è emersa a tratti sul versante occidentale e meridionale del colle; essa sembra aver inglobato alcuni ambienti (F,G) situati subito a nord dell’attuale chiesetta di San Rocco. L’edificio, noto dal 1292, sorge su un pianoro a sud-est del sito castellano e non sembra perpetuare una situazione originaria, sia per il suo orientamento, con abside esposta a sud, sia per le sue dimensioni non commisurate a un piccolo borgo fortificato. Si ritiene possa essere il frutto di riadattamenti posteriori al terremoto del 1511, culminati con la riconsacrazione in onore di San Rocco avvenuta nel 1576, quando la chiesa si trovava ad essere svincolata dal castello, ormai decaduto. Nell’area nord-occidentale del sito, non indagata nei primi scavi, è stato rimesso in luce nel 1993 un ambiente (A) con ingresso sul lato nord munito di stipiti, su cui originariamente era fissata una porta a due battenti. Esso presentava tracce di distruzione e spoliazione, riconducibili su basi stratigrafiche agli inizi del XV secolo, coerentemente con quanto riportato dalle fonti che attestano lo smantellamento del fortilizio subito dopo la caduta dello stato patriarcale. Se, dunque, in questo ambito cronologico va fissata la decandenza del castello, le sue origini andrebbero invece collocate non più tardi del XII secolo, sulla base delle fonti documentarie, disponibili a partire dal 1184, e dei materiali rinvenuti. Necessita di ulteriori verifiche, invece, l'ipotesi che sul colle preesistesse una postazione di avvistamento di epoca tardoantica (MIOTTI 1977, p. 418). I reperti archeologici del castello, oltre 13.000 pezzi tra frammenti e oggetti integri, sono custoditi attualmente nel Museo Archeologico Medievale di Attimis; consistono di utensili d’uso domestico, soprattutto contenitori in ceramica e in vetro, elementi di vestiario, strumenti di lavoro, monete, bolle; particolare rilevanza assume il ritrovamento di armi (cuspidi, coltelli) e di elementi di uno o più armamenti difensivi della fine del XIV secolo. All’interno della chiesa castellana, un altarino con simboli liturgici graffiti sulla malta di rivestimento rappresenterebbe uno dei reperti più antichi provenienti dal sito.
Il castello di Soffumbergo si inserisce nella linea di fortificazioni erette o potenziate nel basso-medioevo a controllo della pedemontana orientale del Friuli che da Cividale conduceva al Norico, insieme con i castelli di Attimis (superiore e inferiore), Partistagno, Cucagna, Zucco, Cergneu, della Motta, Zuccola. L'analisi dei resti murari rimessi in luce negli anni '70 e '90 del secolo scorso, insieme con la gran mole di materiali provenienti dal sito, hanno permesso di ricostruire a grandi linee le fasi evolutive del castello che, a quanto pare, fu in uso almeno dal XII secolo fino al XV secolo, quando ne fu decretata la distruzione da parte dei veneziani. Le sue origini sono legate allo stato feudale del Patriarchi di Aquileia, per lungo tempo governato da vescovi stirpe germanica, i quali vi insediarono signori di origine tedesca, come denuncia il toponimo originale Sharfenberg. In una seconda fase, collocabile nel XIV secolo, la struttura fu ampliata con la costruzione di nuovi ambienti e l’ampliamento di quelli già esistenti. Anche il gran numero di reperti risalenti alla seconda metà del secolo conferma un periodo di particolare vitalità del castello in questo periodo, probabilmente in seguito a una presenza più assidua del Patriarca, che già nei secoli precedenti lo utilizzava con tutta la sua corte come residenza estiva, insieme a una casa-forte sita nel vicino abitato di Campeglio. Si ipotizza che in questo periodo fosse in funzione sul colle del castello una fornace per la produzione di ceramiche. Nel XV secolo, la caduta del Patriarcato comportò probabilmente la demolizione di gran parte delle sue strutture, ma sembra che il sito non venisse del tutto abbandonato, continuando a funzionare, se non altro, per usi agricolo-pastorali. Inoltre, restò in uso la chiesa castellana, la quale fu interamente ricostruita nelle forme attuali, probabilmente in seguito al terremoto del 1511; del primitivo edificio di culto non si conoscono né la conformazione né l'orientamento
Museo archeologico, Museo archeologico medievale di Attimis e i castelli del territorio, Basaldella di Campoformido (UD) 2000
Toso F./ Pessina B., La via dei castelli tra Natisone e Torre, I, Soffumbergo, Udine 1996
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