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La stauroteca, destinata a custodire la preziosa reliquia della vera croce, è del tipo “parlante”, che denuncia cioè il suo contenuto tramite la sua stessa forma. È infatti costituita da una capsella cruciforme in lamina d'argento liscia, la cui faccia superiore, suddivisa in due ante, può essere aperta per consentire la visione della piccola croce che ospita, in legno fortemente tarlato e quasi sbriciolato, tenuta assieme da una lamina di metallo dorato sulla quale sono incastonate pietre preziose. La teca è sostenuta da un piede a sezione mistilinea, con bordo liscio e piatto e gradino traforato, decorato da sei foglie di cardo, poste a cavallo degli spigoli delle facce, che risaltano luminose sulla fitta granitura opaca del fondo. Il fusto sfaccettato, a sezione esagonale, ornato da smalti formati motivi vegetali geometrizzati, è inframmezzato dal nodo globulare da cui sporgono sei "chiodi" quadrilobi fortemente aggettanti, ciascuno dei quali ospita un piccolo astro dorato con volto umano, che risalta sul fondo di smalto blu, da cui si dipartono raggi di varia lunghezza, simbolo della resurrezione e dell'immortalità di Cristo.
La stauroteca è menzionata nell'inventario del 1407 come "crux parva cum crucifixo de ligno sancte crucis in croce de argento deaurato cum duobus aliis desuper argenteis deauratis et cum pede de argento deaurato ad formam calicis" (Modana sec. XVIII, c. 34). Gli studiosi non sono concordi in merito alla datazione del sostegno della teca, che presenta una tipologia già diffusa a partire dal XIV secolo, ma che permane anche nel secolo successivo in tutta l'area veneta. Anche in merito alla responsabilità esecutiva le posizioni della critica non sono unanimi: il manufatto è stato infatti riferito sia a bottega veneziana, sia a bottega cividalese influenzata dai modelli lagunari.
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