in basso a destra: MUSIC 66
La composizione interamente orchestrata sui toni degli ocra e delle terre, mostra al centro una collina su cui si inerpicano alcuni asinelli.
Anton Zoran Music nato nel 1909 in un villaggio nei pressi di Gorizia, si forma all’Accademia di belle Arti di Zagabria. Durante la seconda guerra mondiale è deportato a Dachau e dopo la prigionia trascorre a Venezia un felice periodo creativo durante il quale trova nella bellezza della città lagunare un antidoto per rimuovere gli orrori vissuti. Qui ottiene i primi riconoscimenti pubblici esponendo alle Biennali che gli permettono di trasferirsi a Parigi dove respira il nuovo clima informale e altre esperienze artistiche non figurative. Ciò lo porta a mutare il suo linguaggio artistico orientandosi verso una rappresentazione in cui si manifesta una personale adesione all’astrazione lirica. Pur non abbandonando del tutto l’elemento naturale, i dipinti degli anni Cinquanta e Sessanta si distinguono in delicatissime composizioni nelle quali gli animali si trasformano in ombre vaganti, ricordo o forse sogno di un lontano mondo perduto. Tutto vive in un paesaggio leggero, aereo, delineato con pochi segni fino a diventare un’apparizione fuggevole. Ora resta solo l’essenza, l’emozione trasfigurata sulla tela con l’ausilio di una tavolozza che privilegia gli ocra, le terre bruciate, il bianco e il nero, in raffinati accordi tonali che trasformano la pittura di Music in poesia allo stato puro. Queste peculiarità le ritroviamo anche nell’opera di Palazzo de Nordis facente parte del ciclo dei “Motivi dalmati”. Si tratta di una serie di tele che hanno come soggetto pochi elementi, come colline e animali, resi diafani in un’atmosfera soffusa. Qui la collina, appena distinguibile da fondale ocra, emerge con una tonalità di terra bruciata lungo le cui pendici avvertiamo, come ombre, una teoria di asinelli che “[…] in primo piano si accostano, sembrano fare branco, mutano direzione e quasi svaniscono, risucchiati da un orizzonte di luce. Testimoni di un incantesimo, gli elementi che compongono la stesura dei ‘motivi dalmati’ sembrano emersi dalle grotte della preistoria, dalle steppe dell’Asia o dai sogni dell’infanzia e si profilano corsieri di una leggenda, simboli della fuga perpetua di un mondo remoto che resiste dentro al flusso di una memoria consapevole.” (“La Collezione della famiglia De Martiis a Cividale del Friuli”, a cura di S. Cecchetto – C. Beltrami, scheda, Cividale del Friuli, 2019, p. 177). Come riportato nel catalogo del museo, l’opera è registrata presso l’Archivio Generale d’Arte Contini di Venezia.
Collezione Famiglia De Martiis Cividale, La collezione famiglia De Martiis a Cividale del Friuli, Cividale del Friuli (UD) 2020
Prete E., Vicende dell'arte a Venezia dal dopoguerra alla fine degli anni Cinquanta, in La collezione famiglia De Martiis a Cividale del Friuli, Cividale del Friuli (UD) 2020
Cecchetto S., La collezione De Martiis: un percorso del gusto, in La collezione famiglia De Martiis a Cividale del Friuli, Cividale del Friuli (UD) 2020
Beltrami C., Tempi e modi di una collezione: le scelte di Giancarlo De Martiis, in La collezione famiglia de Martiis a Cividale del Friuli, Cividale del Friuli (UD) 2020