in basso a destra: Maria Lupieri / '960
Composizione non figurativa.
"Voglio / un mondo di pietra e di sabbia che bruci se stesso / e faccia tacere ogni voce tranne quella del mare". Questi versi, scritti dalla Lupieri nel 1956, sembrano anticipare i visionari paesaggi marini - tra i quali rientra anche il presente dipinto - da lei eseguiti qualche anno più tardi, quasi a voler illustrare le conseguenze dell'apocalittica combustione nata dalla sua immaginazione poetica. Dotata di una cultura eclettica e di una straordinaria sensibilità artistica, durante la prima guerra mondiale la Lupieri, costretta ad abbandonare Trieste come profuga, era entrata in contatto con il critico d'arte Raffaele Giolli e con il fervido clima intellettuale milanese. Rientrata nella sua città natale, si era avvicinata al gruppo del Futurismo giuliano ed aveva stretto amicizia con Leonor Fini, Arturo Nathan e con Umberto e Linuccia Saba, con i quali condivideva il versante più problematico della cultura mitteleuropea. Affascinata dal tonalismo acceso e sintetico della Scuola Romana, negli anni cinquanta aveva dipinto numerosi paesaggi, interni di chiese e ritratti, vicini allo stile di Levi, Scipione e Mafai. La passione per le simbologie arcane e le tradizioni magiche popolari, che aveva alimentato fin dall'inizio la sua creatività favolistica, aveva segnato anche la produzione degli ultimi anni, in particolare i paesaggi fantastici, i mazzi di Tarocchi e le illustrazioni per il Libro dei sogni e il Libro dei Gatti, realizzati, con uno stile sempre più indefinito e lirico, poco prima di spegnersi a Roma nella casa della sua grande amica Linuccia Saba. L'opera in esame, dipinta l'anno precedente la scomparsa dell'artista, documenta il suo approdo a quello che Franco Russoli ha indicato come uno "scoperto quanto sincero informale magico", in cui, con un linguaggio aggiornato alle sperimentazioni materiche e informali, rinnova costantemente il suo fantastico "racconto di sassi come stelle, di mari come deserti, di cieli come conchiglie. E la presenza dell'uomo, in queste cosmogonie, si rivela soltanto, sottomessa, nel trasparire, come in filigrana, degli invincibili segni del destino" (F. Russoli, Presentazione della mostra personale di Maria Lupieri alla Galleria dell'Ariete di Milano, ottobre 1959). Anche in questo Segno dello zodiaco ritorna, con suggestioni surrealiste, un simbolo astrologico abbandonato sulla spiaggia, come un relitto portato dal mare a testimoniare il passaggio dell'uomo, la cui esistenza sulla terra sembra inesorabilmente governata dal cielo. A differenza di altre opere di soggetto marino - che la Lupieri ha dipinto dopo un viaggio in Grecia, alla fine degli anni cinquanta - nulla ricorda i vivaci colori del paesaggio mediterraneo; la gamma cromatica è infatti ridotta alle diverse sfumature del seppia e la stesura del colore risulta alquanto eterogenea: grumosa, come di materia coagulata in alcuni punti ed estremamente diluita in altri. Esposto alla mostra Arte fantascienza, tenutasi a Trieste nell'estate del '64 (ed erroneamente pubblicato in catalogo col titolo di Segno cabalistico 1960) e alla mostra commemorativa dedicata all'artista nel giugno-luglio '66, questo lavoro è stato acquistato nel settembre dello stesso 1966, assieme al disegno Giardino di Perego - Milano, inverno 1956, da Elena Carbonaro Lupieri, erede della pittrice. Di quest'ultima il Museo Revoltella possiede anche la tempera Tempio demolito in Cittavecchia a Trieste, donato nel 1955 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ufficio zone di confine, e il disegno ad inchiostro Giardino pubblico di Trieste, del 1956.
Bressan N., Schede, in Il Museo Revoltella di Trieste, Vicenza 2004