La stanza presenta una decorazione delle pareti e del soffitto, costituita da stucchi veneziani entro cui tredici tele raffiguranti allegorie tratte da Cesare Ripa sono inserite. Gli stucchi di buon esecuzione giocano sull’alternanza di campiture color celeste e giallo paglierino e contraddistinti da motivi ornamentali in rilievo bianco. Dalla ampia campitura centrale di color celeste, fregiata da un ampio motivo floreale in stucco bianco, scende il lampadario. Le pareti seguono una medesima invenzione, articolata su fasce verticali in cui la tela di medesimo formato si colloca, delimitata al di sotto da un battiscopa monocromo grigio e al di sopra da campiture celesti incorniciate da stucchi, caratterizzati da uno scudo vuoto. La composizione della decorazione parietale rivela inoltre la possibilità dell’esistenza in passato di un ulteriore tela, andata perduta: è ben evidente il riquadro lasciato vuoto sulla parete sud, tra la porta e la finestra.
Secondo Someda de Marco (1966) le tele furono eseguite per una sala nobile del palazzo e successivamente trasferite in un nuovo – attuale – locale, accompagnate da un meticoloso apparato di stucchi veneziani nel corso del Settecento. Suddetta ipotesi che vuole proporre una diversa sistemazione delle figure allegoriche non risulta inopportuna soprattutto se viene considerata come originale collocazione gli ampi saloni del primo piano che ad oggi conservano una parziale decorazione ad affresco eseguita sfruttando simili tonalità di colore. Nel 1935 la stanza che conserva oggi le tele venne adibita a biblioteca ed i mobili andarono a porsi dinnanzi le opere, le quali vennero quindi spostate in un salone centrale dove rimasero abbandonate fino al 1960, quando il prof. Carlo Someda de Marco, il pittor Romano Gabbiano e il maestro del ferro Ernesto Pascoli procedettero a sistemare le opere, il lampadario e la stanza (Someda de Marco 1966). La critica meno recente (Bartolini, Bergamini, Sereni 1983), attribuisce le tele a Francesco Pavona, artista udinese della metà del Settecento. Negli ultimi anni si è però cercato di fare chiarezza sull’effettivo ruolo che Francesco Pavona ebbe nella decorazione di Palazzo Antoni Cernazai ed infatti Da Lio (2006) smentisce la paternità di Pavona per le tele. Erroneamente in passato era stato interpretato il testo di Fabio di Maniago riguardo l’operato di Pavona (“nella volta di una stanza”, dipinta a “olio in cinque compartimenti” “quello di mezzo rappresenta un fatto scritturale allegorico,, negli altri quattro stanno effigiate le Virtù”). Molto probabilmente le tele presenti nella stanza in oggetto non sono quindi di Pavona, il cui operato venne inoltre considerate perduto (Da Lio 2006). Seguendo questa più recente e completa ricerca si vuole portare le tele sotto un ambito seicentesco e confermare la decorazione di stucchi alla metà del Settecento. A causa delle sopraccitate vicende subite dalle tele, il loro pessimo stato conservativo rende difficile uno studio approfondito della qualità dell’operato dell’anonimo artista. Come già evidenziato da Da Lio (2006) vi sono discrepanze qualitative, per esempio nella tela raffigurante la Vigilanza, le cui forme risultano particolarmente piatte. La qualità delle tele non risulta ad oggi quindi essere sopraffina ma non è da escludere che negli spostamenti avvennero ritocchi non eccellenti che andarono a guastare una già incerta e immatura mano.
Bergamini G., Le dimore Antonini, in Gli Antonini: cittadini di Udine, signori di Saciletto (secoli XV-XX), Udine 2016
Da Lio L., Francesco Pavona: note per l’aggiornamento del suo catalogo, in Barok na Goriškem. Il barocco nel goriziano, Nova Gorica/ Ljubljana 2006
Bartolini E./ Bergamini G./ Sereni L., Raccontare Udine Vicende di case e palazzi, Udine 1983
Someda de Marco C., Le figure simboliche del Palazzo Antonini, in Avanti cul brun!, 1966, n. 33