in basso a destra: BENETTO CARPATHIO VENETO PINGEVA MDXXXXI
al centro in alto (nastro): IN NOMINE IESV OMNE GENV FLECTATVR CELESTIVM TERRESTRIVM ET INFERNORVM/ ET OMNIS LINGVA CONFITEATVR QVIA/ DOMINVS NOSTER IESVS CHRISTVS IN GLORIA EST DEI PATRIS
al centro: IESUS
cartiglio: ECCE AGNVS DEI
Sullo sfondo della grande pala, sotto il cielo dominato dal tondo raggiante con il nome di Gesù e circondato da una aureola di cherubini e di angeli che svolgono un grande nastro iscritto, si vedono la città di Capodistria e i santi Giovanni Battista e Francesco sulla sinistra, San Bernardino e San Paolo sulla destra.
L'iconografia della pala di Benedetto Carpaccio, figlio del celeberrimo Vittore, deriva dalle "Prediche Volgari" di San Bernardino da Siena in cui viene codificata la rappresentazione del monogramma di Cristo (trigramma) anche se, in questo caso, il nome è scritto per intero e non nella forma IHS. Nelle sue Prediche, ad ogni elemento del trigramma, Bernardino associò un significato simbolico: il sole centrale è la chiara allusione a Cristo che dà la vita come fa il sole. Inoltre il calore del sole è diffuso mediante i dodici raggi che simboleggiano gli Apostoli. Il dipinto ora a Gemona proviene dalla chiesa di Sant'Anna di Capodistria. In origine la pala era presumibilmente completata da due tele raffiguranti rispettivamente l'Angelo annunciante e la Vergine Annunciata e dua un terzo dipinto raffigurante il Padre Eterno. (Sennio). Secondo Ziliotto questi tre scomparti passarono alla Collezione Basilio di Trieste. Lo scomparto con la figura del Padreterno, “visto di fronte, con i capelli lunghi e la barba fluente, tra nuvolette di cherubini purpurei, (mentre) benedice colla destra, e tiene nella sinistra al sfera del mondo” è apparso alla Prima esposizione d’Arte Antica organizzata nel 1924 dal Circolo Artistico di Trieste per opera di Antonio Morassi. Del comparto col Padreterno non è nota la collocazione attuale. I due spicchi, che non furono esposti alla mostra, sono successivamente passati dalla collezione Basilio di Trieste a quella di Dionisio Brugnera di Treviso, da dove sono stati rilevati dal Mestrovich. Ora sono esposti nella sede di Ca' Rezzonico a Venezia (Collezione Mestrovich, inv. 2). Nella pala di Gemona è evidente lo stretto richiamo ai moduli stilistici e figurativi del padre Vittore. Si tratta di un'opera sicuramente “ritardataria” rispetto ai grandi esempi della pittura veneziana coeva, quasi in contrasto con quanto andavano facendo a Venezia Tiziano e Tintoretto ma comunque di interessante livello qualitativo, nella puntuale descrizione delle figure e delle cose, nella qualità del colore e nella capacità di espressione del sentimento religioso. Il quadro di Benedetto va posto in relazione anche con una tela di analogo soggetto ora conservata al Museo Regionale di Capodistria (inv. 3195) che per lungo tempo è stata considerata un abbozzo per la tela gemonese. In realtà, come fa notare Craievich, il dipinto conservato al museo va considerato come una derivazione del quadro di Benedetto e l'ulteriore indebolimento del linguaggio carpaccesco è tale da giustificare un'attribuzione alla bottega del figlio di Vittore.
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