in alto a destra: LVCANO
Uomini e donne abbandonano le loro case portandosi dietro figli e bagagli, mentre sullo sfondo tra le colline si intravvedono le colonne di fumo e fiamme dei bombardamenti.
Quest'opera non facilmente rintracciabile nel catalogo di Piero Lucano, per l'abitudine frequente che egli ebbe di servirsi anche di più titoli per una stessa opera, dovrebbe cronologicamente collocarsi tra gli anni '40 e gli anni '50 del Novecento. E' infatti nell'ambito di quell'arco cronologico che l'artista, profondamente scosso dagli eventi bellici, affronta nelle sue opere tematiche legate agli orrori della guerra che spesso si configurano in paesaggi animati da significative presenze umane. Il dipinto in questione riguarda infatti l'esodo di profughi che abbandonano le zone più direttamente colpite dalla guerra per mettersi in salvo in luoghi più sicuri. Si scorgono così in primo piano donne e uomini che avanzano insieme, portando con sè il possibile e lasciando alle spalle le loro case con il cortile o il prato ben ordinato, mentre sullo sfondo, laddove digradano le colline, si innalzano nel cielo le fiamme e le colonne di fumo dei bombardamenti. La proposta cronologica sopra avanzata sembra trovare conferma pure nel linguaggio pittorico esibito dall'opera, senz'altro vicino a opere di Lucano come "La fonte" del 1951, "Burrasca" del 1949 e ancora, nonstante la forma più sviluppata, "Vacche e cavalli". Si tratta di un modo di rappresentare la realtà a questa data assai interessante e che sembra riportare Lucano, in un percorso di rivisitazione del suo cammino d'artista, alle radici della sua formazione. Nell'opera infatti egli rimane fedele, secondo quella che sarà una costante della sua produzione, alla rappresentazione figurativa. Tuttavia appare subito evidente ad una prima occhiata come si tratti di una figurazione che pone diverse problematiche, prima fra tutti da dove possa venire questo modo di rappresentare la realtà così mosso e di superficie, delimitato da una salda e decisa linea di contorno che da un certo punto di vista altera e deforma l'esatta percezione del vero. E' certo che a questa data le possibilità di conoscenza della contemporanea produzione pittorica internazionale non dovevano essere limitate, che i riferimenti da questo punto di vista potrebbero essere tutto e il contrario di tutto, eppure a ben vedere quest'opera sembra ricondurre l'artista a rinnovati contatti e legami con l'ambito di produzione in cui egli si era formato, quello tedesco. La percezione che quella sia la provenienza culturale di tale opera viene immeditamente dalle gamme cromatiche smorzate e terrose, nelle tonalità dei marroni, degli ocra, con un sapiente controllo della luce, attentamente dosata e controllata. Ma a confermare la matrice tedesca dell'opera intervengono soprattutto le caratteristiche stilistiche della sua pittura, quegli alberi dalle fronde ondulate e dai tronchi appiattiti, quelle colonne di fumo che gonfie come fiocchi di cotone, ma tutte ridotte in superficie, si stagliano contro il cielo come inquietanti e grigi fantasmi ondeggianti. E ancora confermano tale derivazione culturale quella salda linea di contorno che delimita le figure umane, rendendole grottesche sagome da fumetto, quei cespugli sinuosi risolti tutti in superficie come semplici giustapposizioni di facciata. Tutti questi aspetti stilistici della rappresentazione riportano con decisione agli esiti più significativi e moderni della pittura Jugendstil di Monaco, e in particolare alle opere di alcuni dei suoi massimi rappresentanti, Ludwig Dill, Leo Putz, Hugo von Habermann, ma anche Adolf Hoelzel, Carl Thiemann, e perfino nel periodo pre-astratto Albert Weisgerber e Franz Marc. Molti di questi artisti furono tra i membri e frequentatori di una particolare colonia artistica fondata a Dachau, vicino a Monaco di Baviera. Qui svilupparono una pittura dagli esiti non sempre omogenei, ma in grado di portare avanti in maniera significativamente moderna i caratteri essenziali della ricerca Jugendstil e impressionista. Tra i frequentatori e membri di questa colonia risulta inserito in forma stabile e continuativa anche un triestino, Giulio Beda, morto proprio a Dachau nel 1954. Con questo artista Lucano fu certamente in contatto negli anni del suo soggiorno formativo a Monaco, quando Beda, già residente nella città bavarese, gli mise a disposizione il proprio studio. Non è escluso che la frequentazione tra i due sia continuata negli anni e abbia consentito a Lucano di mantenersi direttamente aggiornato sugli sviluppi successivi della pittura monacense e in particolare di quella che si faceva a Dachau, con la quale il dipinto "Gli Innocenti" sembra avere molto in comune nelle caratteristiche sottolineate. Questo senz'altro induce a credere che i contatti con l'area tedesca di Piero Lucano siano stati molto più determinanti di un semplice soggiorno formativo giovanile, e molto più continuativi di quanto sinora si è ritenuto. Andrebbero allora più approfonditamente indagati il periodo giovanile a Monaco, dove il triestino studiò alla scuola privata di Anton Azbe, e i suoi successivi contatti.
Favetta B.M., Piero Lucano 1878-1972, Trieste 1982, n. 5