in alto a destra: - ET- NOS- EOS- EICIAMUS- FORAS-
in basso: BRVNO CROATTO - ROMA -/ 1934 - 1935
Raffigurazione del placito di Risano, assemblea tenutasi nell'anno 804, alla quale partecipano e sono convocati i missi dominici di Carlo Magno, vescovi, prelati e i rappresentanti di Trieste e delle comunità istriane.
E' una delle opere che si collocano nella produzione degli anni '30 dell'artista e una delle poche in cui egli, forte dell'esperienza accumulata come acquafortista ed incisore nella raffigurazione degli antichi borghi medievali delle città italiane, si dedica alla narrazione storica. Questa scelta tematica che ad alcuni può apparire inconsueta nel percorso creativo di un pittore che fu prevalentemente dedito al ritratto e alla natura morta, nasce in realtà da uno specifico ordine di commissione. L'opera venne infatti esplicitamente realizzata e commissionata a Croatto per essere posta ad ornamento della sala riunioni del palazzo della Provincia di Trieste. Ciò spiega anche il particolare soggetto trattato e la sua forte componente irredentista e nazionalista. Il Placito di Risano riguarda un episodio significativo della storia locale. In esso si raffigura infatti l'assemblea (Placito) tenutasi nell'anno 804 nella piana del fiume Risano (attuale Slovenia) per volontà dei messi dell'Imperatore Carlo Magno chiamati a deliberare sulle proteste sollevate dagli abitanti locali nei confronti dell'usurpazione dei loro diritti di proprietà e dell'eccessiva pressione fiscale esercitata su di loro dal duca Giovanni, governatore locale della regione in qualità di feudatario. In quell'occasione i missi dominici confermarono i diritti degli abitanti locali e regolarono la contesa a loro favore in base alle disposizioni di legge, ammonendo i responsabili a porre rimedio alle irregolarità commesse pena l'applicazione di pesanti sanzioni ad opera del potere centrale. Si tratta di conseguenza di un episodio che fa leva sui sentimenti di patria e orgoglio nazionale come ammonisce il motto latino riportato nel dipinto in alto a sinistra su di un cartiglio e riferito all'eccessivo favore concesso agli slavi. La rappresentazione dell'evento viene risolta nell'organizzazione delle due parti avverse l'una di fronte all'altra, simmetricamente raccolte ai margini del dipinto. La scena si svolge all'aperto, all'ombra di alcuni alberi, mentre sullo sfondo si apre la vista del fiume. Significativa la presenza tra i personaggi disposti a sinistra di alcune rovine romane, un capitello, il fusto scanalato di una colonna e frammenti di architrave usati come sedile da uno scrivano che registra il verbale dell'assemblea. A tale presenza architettonica fa da contrappunto tra i personaggi in schiera della parte opposta, a segnare la distanza, anche in materia di diritto, tra due epoche, un altare medievale decorato da preziose tarsie marmoree, su cui si trova posta aperta la bibbia. Su di essa l'uomo che sopravanza gli altri appoggia la mano sinistra e tende l'altra in segno di giuramento. Forse si tratta del duca Giovanni chiamato a rispondere di fronte all'assemblea delle azioni illegittime contestategli. Lo affiancano il collegio dei vescovi e dei prelati, mentre un chierichetto in primo piano sparge l'incenso. Per una fedele e coerente rappresentazione del fatto storico Croatto si documentò sui costumi e le armature dell'epoca e non mancò, al pari dei più grandi rappresentanti della pittura italiana del passato, di inserire nella rappresentazione, decontestualizzandoli, uomini contemporanei di sua conoscenza. Risultano così riconoscibili il professor Vanni, con cui l'artista ebbe uno stretto legame di amicizia, e lo stesso Croatto a sinistra tra i rappresentanti di Trieste. Dal punto di vista stilistico Croatto si avvale per questa narrazione storica di quel obiettivo iperrealismo che in questi anni è divenuto carattere distintivo del suo linguaggio pittorico. Attraverso un nitore formale che gli viene dalla sapiente fusione di disegno e colore, egli realizza la rappresentazione, ostentando una cura quasi esasperata per il dettaglio nell'osservazione del vero. Un limpido linearismo, la brillantezza quasi smaltata della luce e la sapiente giustapposizione delle tinte con la loro vivacità creano un'atmosfera quasi magica e sospesa. Esse attirano e respingono lo spettatore in un enigmatico gioco di rimandi e reminescenze che vanno dal ricordo delle opere maggiori della storia della pittura italiana agli echi delle più recenti sperimentazioni artistiche. In quest'opera, che venne accolta freddamente dalla critica e dagli stessi committenti e che sommariamente rimase a lungo incompresa, emerge tutta la valenza di Croatto come pittore intensamente versatile e complesso, ma anche intellettualmente raffinato e sofisticato. Completamente svincolato dai condizionamenti del proprio tempo e dei propri simili, egli si accosta in maniera autonoma e curiosa ai più diversi linguaggi artistici che si susseguono nell'effimero alternarsi delle stagioni, esplorando e non dimenticando nel contempo la preziosa eredità del passato. Così egli perviene ad uno stile che è completamente suo e che va indagato in una costante opera di raffronto con quelle che sono le variabili culturali e le scelte di una personalità tanto complessa, quanto eclettica.
Mugittu D., Bruno Croatto, Trieste 2000, 2