in basso al centro: Rubbia
in basso a destra: Inv. 2 / 290 . 187 [tutto cancellato con tratti] 71.
in basso a destra: 2694
in alto a sinistra
in alto a sinistra: Busta 65
Sullo sfondo raffigurazione piuttosto schematica di alture tozze e tondeggianti. Al centro il Castello di Rubbia con torri quadrangolari ai quattro angoli e, intorno, poche casette raggruppate. In, primo piano, appena accennato il fiume Vipacco, con il ponte di legno. Contorni a china color seppia, ombre ad acquerello grigio, piuttosto grevi e poco naturalistiche.
L'autore del disegno è don Giovanni Maria Marussig, fedele cronista delle vicende goriziane degli ultimi decenni del Seicento e dei primi anni del secolo successivo. Importante in particolare il suo manoscritto Goritia sue Origine Reggi, Conti, Presidenti, Capitani, Chiesa, Beati, Vescovi, Preposti, Guerre, Vittorie sin al 1709 descritta da Don Gio. Maria Marussig - L'Anno di sua età 67. Particolarmente interessante l'altro suo suo manoscritto: Relatione del contagio di Gorizia ..., sulla peste del 1652, e ancora il manoscritto Morti violente a Gorizia, dall'anno 1641 al 1595, tutti corredati da schizzi e disegni, che se non presentano pregi artistici, hanno però un notevole valore storico. I Musei Provinciali di Gorizia possiedono altri sei disegni dello stesso autore, raffiguranti diverse località dei dintorni di Gorizia. Per quanto riguarda il soggetto di questo disegno, si tratta del Castello di Rubbia, ora ridotto in rovina, sorto alla confluenza del Vipacco nell'Isonzo probabilmente intorno al Mille, progressivamente ingrandito nei secoli successivi, passato dalla signoria dei della Torre a quella degli Edling, a quella del barone Cipriano Corornini (fine sec.XVI). Nel corso delle guerre gradiscane (1616-1617) ospitò il quartiere generale del comandante le truppe arciducali, barone Trautmannsdorf. Danneggiato dai proiettili delle artiglierie fu ampliato e restaurato nel corso del sec. XVII, fino a presentarsi come è raffigurato nel disegno del Marussig. Nel 1872 fu acquistato e restaurato dal barone Leonardo Bianchi di Casalanza, ma, gravemente danneggiato nel corso della I Guerra Mondiale, non se ne ritenne opportuno il recupero.