L'edificio nella sua austerità massiva voleva dichiarare immediatamente le funzioni attraverso la scelta di un linguaggio semplificato che aveva visto diverse esperienze sul finire degli anni '30. La distribuzione delle masse e la semplificazione dei decori costruiscono una architettura austera e funzionale, spartanamente monastica eppure monumentale. Ali per le camerate e le sale di incontro, il chiostro/cortile protetto dalla città, la cappella, la monumentalità delle masse volumetriche accostate. La facciata principale non fu molto apprezzata dalla commissione d'ornato che chiese che fosse “rielaborato” il prospetto della parte centrale del fabbricato in modo da renderlo armonico con le parti laterali”. Gli elementi funzionali si affiancavano gli uni agli altri: la foresteria, la cappella, il chiostro, la chiesa, la sagrestia e il campanile.
Dopo il secondo dopoguerra il culto della Madonna Pellegrina divenne una pratica diffusa di aggregazione popolare dei cattolici anche con finalità politiche. L'opera di propaganda della fede e il suo direttore mons. Antonio Giacinto, propose di raccogliere fondi per la costruzione di un ritiro spirituale che in qualche modo si rifacesse alla tipologia dei monasteri. L'incarico fu affidato all'ing. Enrico Raffin nel 1953.
Il fabbricato è realizzato con sistemi tradizionali non solo per la difficoltà di reperimento dei materiali edili all'inizio della ricostruzione postbellica, ma anche per una esplicita volontà di rifarsi alla tradizione. Il progetto fu ridotto e semplificato. Le ali si allinearono accentuando la simmetria dell'impianto. La serialità delle arcate fu realizzata con registri diversi rispetto a quelli della prima soluzione progettuale.
Pordenone Novecento, Pordenone Novecento. Guida alle architetture, Pordenone 2016