Noi usiamo i cookies
Questo sito NON utilizza alcun cookie di profilazione. Le informazioni raccolte attraverso i cookies di tracciamento e performance non identificano alcun visitatore individuale. Se vuoi aiutarci a garantire un servizio migliore premi il pulsante [Accetta], altrimenti scegli [Rifiuta]. Per maggiori informazioni leggi l'informativa estesa sull'uso dei cookie.
porta delle mura, lato esterno
Torrione della Campana: All'interno del Vangelo aperto: "PAX TIBI MARCE EVAN-GELISTA MEUS" Nella cornice, al di sotto: "RIFATTO NELL'ANNO XII DELL'E.F."
Torrione della Campana: In parte illeggibile per danneggiamenti in epoca austriaca: "EX ILUSTRISS. SENAT...S ... TI CONSULTO CLAR ... AN ... S MA ... PR... ...SS. S ... ANO PRAEFE... D ... M...NTIS M CCCC XC..."
La fortezza di Gradisca si presenta oggi come un pentagono irregolare incompleto, in quanto la cinta fu parzialmente demolita nel corso del secolo XIX per esigenze di espansione urbanistica, completata da sei dei sette torrioni originali. Costruita interamente in blocchi di pietra, la cinta si presenta oggi come un imponente muro a scarpa, di altezza variabile (modificata nel corso dei secoli, quando Gradisca perse progressivamente la propria funzione strategica), impostata su un substrato di rocce carsiche che in alcuni punti affiorano oltre la quota d’imposta del muro e protetta dall’antico fossato nonché, ad Est, dal letto del fiume Isonzo. Nel tratto più meridionale, risparmiato dalle demolizioni ottocentesche poiché troppo a ridosso del fiume per poter sfruttare gli spazi per nuove costruzioni, è caratterizzato dalla presenza dei bassi Torrioni della Calcina e della Marcella, che raggiungono oggi un’altezza di circa 5.00 m (in origine, circa 8.50 m). La stratigrafia leggibile sull’alzato del primo, in particolare, rivela le modifiche o gli aggiustamenti occorsi nel tempo, poiché si alternano pietre di tessitura e lavorazione differenti: parte delle mura, infatti, è stato oggetto di ricostruzioni nel secondo dopoguerra per danni da eventi bellici. Il Torrione della Calcina, inoltre, è collegato a livello sotterraneo alla retrostante polveriera veneta, a sua volta un tempo in contatto diretto, per vie celate e protette, con l’arsenale intra moenia. Lievemente più piccolo in pianta (planimetricamente una circonferenza quasi completa), il Torrione angolare della Marcella ha caratteristiche analoghe a quanto appena descritto per il Torrione della Calcina. Nel tratto di mura tra i due, inoltre, è stato aperto un varco con scale per poter scendere sulle rive del fiume. Il tratto a Est, tra i Torrioni della Marcella e della Spiritata, presenta gli stessi caratteri prima descritti, ad eccezione di una cornice “marcapiano” a profilo curvilineo che segnala la quota di calpestio del percorso sulle mura e sulla quale si imposta la balaustra lapidea. Adiacente alla prima delle due torri una porta, oggi occlusa, strombata e con terminazione ad arco ribassato con ghiera in mattoni. Alcuni gradini in pietra conducono a questo antico accesso, perimetrato da semplice cornice lapidea, che consentiva un collegamento diretto con la fortezza interna sul “collisello”. Poco distante, l’unico varco della cinta verso Est: la Porta del Soccorso, che ancor oggi consente la discesa al fiume, un imponente passaggio centinato con ghiera in laterizio (verso il fiume) e pietra (all’interno, verso il castello), aperta nei primi decenni del XVII secolo sotto il governo austriaco e per ragioni ancora da indagare (si ipotizza che fosse stata realizzata per avere una comunicazione diretta con l’esterno da questo lato, anche se strategicamente pare essere un indebolimento della fortificazione). L’intero tratto orientale, tra i Torrioni della Spiritata e del Portello (per la presenza, in passato, di un passaggio ora ostruito da crolli), rappresenta insieme a quanto appena descritto la parte più antica della fortezza, realizzata tra il 1479 e il 1481 dal governo veneziano. Privo di dettagli peculiari, il muro a scarpa è completato in sommità da una balaustra metallica, per consentire l’utilizzo dei camminamenti come percorso. Poco più a Nord della Torre del Portello fu realizzato nel 1862 un grande varco nelle strutture difensive per far posto all’ancora esistente macello comunale: un’opera indubbiamente invasiva per le strutture antiche, ma che ha consentito una puntuale e precisa misurazione delle stesse. Tra due paramenti di blocchi della dimensione di cm 40 x 60 x 40 circa, pietrame incoerente, calce e altro materiale completano la muratura a “sacco” che contiene il retrostante terrapieno. Tra il macello comunale e il Torrione di San Giorgio si estende l’ultimo tratto appartenente alla prima fase costruttiva della fortezza. Anch’esso sensibilmente ridotto in altezza (in origine doveva raggiungere la quota del coronamento del torrione settentrionale), è forse la parte che ha subito più danneggiamenti nel tempo, per la presenza fino ad un recente passato di piante infestanti superiori che hanno compromesso porzioni del paramento murario esterno, ad oggi rabberciato con opere provvisionali in legno. Nel tratto più prossimo alla torre è visibile la cornice a sezione semicircolare che segna la quota di calpestio della cinta e il soprastante muro, ad altezze irregolari, danneggiato e modificato nel tempo. Concludono la cinta muraria a Nord i due Torrioni di San Giorgio e della Campana, che racchiudono tra loro la Porta Nuova: tali opere costituiscono il completamento della fortezza operato dall’architetto Giacomo Contrin tra il 1497 e il 1499. Le due torri presentano caratteristiche analoghe: una porzione basamentale a scarpa, una cornice marcapiano a sezione semicircolare, una porzione superiore rettilinea culminante con beccatelli in pietra calcarea scolpiti a guisa di volute. Mentre la muratura al di sopra di questi nel Torrione di San Giorgio è quasi del tutto perduta, perfettamente conservata risulta la Torre della Campana che, persa la propria funzione strategica, è divenuta parte di una proprietà privata (sul finire del secolo XIX è stata addossata alla struttura militare una residenza di pregio). Entrambe le torri sono state oggetto di restauri, intorno al 1960 e incompleti per il Torrione di San Giorgio, tra il 1940 ed il 1950 invece per quello della Campana. Su quest’ultimo, verso Ovest, sono presenti due lapidi. La prima rappresenta il leone di San Marco, simbolo della Serenissima, riproduzione realizzata e posta in loco in epoca fascista; la seconda, collocata al di sotto di questa, è una riproduzione di un’iscrizione conservata oggi presso il lapidario cittadino che riporta la data di costruzione del tratto della cinta e il nome di “Contrino Architecto”. Infine, tra le due torri è racchiusa la Porta Nuova o Porta di Allemagna, rifacimento della più antica Porta di Farra, un passaggio coperto da volta a botte, rinforzato dal lato esterno da quattro lesene e completato dallo stemma arciducale, con l’aquila bicipite. All’interno, realizzato sulle strutture della porta, l’antico corpo di guardia, dagli anni ’30 del secolo scorso ricostruito (la caserma precedente era andata distrutta nel corso della ritirata di Caporetto) e trasformato in residenza privata.
Sebbene il nome di Gradisca compaia già nelle mappe del XIII secolo, la fortezza è indissolubilmente legata alla Repubblica di Venezia. A seguito di contrasti con l’impero ottomano, la Serenissima decise di fondare Gradisca sfruttando il confine naturale dell’Isonzo, lungo il quale già aveva concentrato i propri sforzi realizzando nel 1473 un terrapieno ed una palizzata che dalla Mainizza fino a Fogliano fungessero da protezione all’esercito veneziano. Si trattava, tuttavia, di opere provvisorie e dopo la sconfitta del 1477, il governo veneziano deliberò la costruzione di una fortezza sul “collisello”, una propaggine carsica a strapiombo sul fiume: quattro provveditori (la massima carica del governo veneziano, che rappresenta lo Stato e le sue leggi), Domenico Giorgio, Candiano Bollani, Giovanni Emo e Zaccaria Barbaro vennero inviati sul posto per valutare la costruzione di un presidio permanente. Dal 1479, sotto la direzione degli ingegneri militari Enrico Gallo e Giovanni Borella e dello stesso provveditore Giovanni Emo ebbe inizio la realizzazione del primo nucleo fortificato e del suo borgo, costruito su una maglia regolare sul modello del castrum romano e con fabbricati modulari distribuiti lungo “rughe” ancor oggi esistenti. Marin Sanudo, cronachista e fonte storco-archivista preziosa, testimoniava che nel 1481 la fortezza poteva dirsi conclusa, mentre l’edificazione delle mura circostanti sarebbe durata per molti decenni ancora. La ventennale tregua stipulata con i turchi scadde nel 1497: ripresero così la costruzione e l’ammodernamento (nel frattempo le tecniche di guerra erano cambiate) delle mura sotto la direzione dell’architetto Giacomo Contrin, il cui compito era quello di portare a compimento il perimetro delle fortificazioni verso Nord con l’edificazione dei due torrioni della Campana e di San Giorgio. Quest’ultimo venne realizzato sul sedime di preesistenti strutture, l’antica Porta di Farra, e il nuovo accesso alle mura, Porta Nuova appunto, fu realizzato lievemente più a Ovest. Si completava così un pentagono irregolare, dotato di sette torri, da Nord Est in ordine: torri di San Giorgio e della Campana (che racchiudono tutt’oggi Porta Nuova), torri del Palazzo (demolita) e della Calcina (che racchiudevano la non più esistente Porta occidentale), torri della Marcella, della Spiritata e del Portello, la più orientale. Sebbene pronta all’assedio, Gradisca non contrastò la nuova avanzata del nemico nel 1499: i soldati, infatti, preferirono non uscire dall’inviolata fortezza. Il governo veneziano sulla fortezza ebbe tuttavia vita breve. Sconfitta dall’alleanza della Lega di Cambrai, nel 1511 la Serenissima cedette e la cittadella venne conquistata da Massimiliano I d’Asburgo: Gradisca diveniva così un capitanato controllato dalla casa d’Austria. Fu nominato capitano di Gradisca Niccolò II della Torre, dal 1512 al 1557, anno della sua morte: durante il suo governo furono riparati i danni di guerra, realizzate le mura interne attorno al collisello (dove già esistevano una caserma ed un arsenale veneziani) e ammodernate ulteriormente le mura per meglio contrastare le nuove tecniche belliche. Venne così nominato l’architetto Gerolamo Decio, già ispettore per il governo austriaco dei castelli e della Carniola, con lo specifico compito di provvedere alla riparazione dei castelli di Trieste, Gorizia e Gradisca. Mentre gli interventi contingenti sulle mura esterne, visto il timore di nuove incursioni, vennero immediatamente messi in atto, la realizzazione della fortezza interna ebbe inizio molto più tardi: la porta, unica, verso l’Isonzo riporta la data del 1546, mentre nel 1550 venne concluso il lato settentrionale e, nel 1555, completato il bastione angolare verso il centro cittadino. Alla morte di Niccolò II il nuovo capitano di Gradisca fu Giovanni de Hojos, che diede la precedenza alla “cittadella interna”, completando il Palazzo del Capitano nel 1560: ad oggi non è stato possibile stabilire il nome del progettista di questa architettura, sebbene sia probabile individuarlo in Francesco da Pozzo, forse coadiuvato dal sovrintendente ai castelli imperiali Domenico de Lalio, entrambi presenti a Trieste in quegli anni. Un edificio di soli due piani, insieme ai preesistenti arsenale e magazzini, costituivano la cittadella militare. Poco più tardi il suo successore Giacomo de Attimis completò, invece, la sistemazione delle mura esterne. Tra il 1615 e il 1617 la rivalità tra gli Asburgo e la Serenissima si riaccese nella “guerra gradiscana”, nel corso della quale – pur Gradisca resistendo all’assedio - gran parte degli edifici del borgo vennero distrutti. A seguito del conflitto la fortezza rimase pressoché immutata, fatta eccezione per la realizzazione nel corso del XVII secolo di un’ulteriore cinta protettiva e di tre rivellini rivolti a Nord-Ovest. Tuttavia i danni erano ingenti. Per far fronte alle ingenti spese della guerra, l’imperatore Ferdinando III d’Asburgo si vide costretto nel 1647 a vendere Gradisca ad un suo creditore, Giovanni Antonio di Eggenberg, che insieme ai suoi eredi la governò fino al 1717, elevandola da Capitanato a “Contea Principesca sovrana ed immediata dell’Impero Germanico”. Gli Eggenberg ne divennero proprietari a tutti gli effetti, con un’unica clausola: tenere in efficienza le fortificazioni, in modo da essere fruibili dalla casa d’Austria in caso di necessità. In questo fiorente periodo vennero promossi importanti interventi urbanistici e di edilizia pubblica, in particolare sotto il governo di Francesco Ulderico della Torre, capitano dal 1656 al 1695 a Gradisca: vennero realizzati la Loggia dei Mercanti, il Palazzo del Monte di Pietà e il Palazzo Torriani, allora residenza dei della Torre e oggi sede del municipio. Verso la fine del secolo, verosimilmente, vennero compiute le case de’ Portis, de’ Salamanca, Wassermann e la fastosa residenza dei de’ Comelli-Stuckenfeld, che arricchirono il centro cittadino di residenze nobiliari di pregio. Non solo: fece redigere nel 1681 il primo “Catastico del Stato di Gradisca”, fatto compilare da Guglielmo de Buglioni, la prima vera ed attendibile descrizione della città. È possibile identificare, infatti, gli edifici all’interno della cittadella: il Palazzo del Capitano al centro, il vecchio arsenale, la caserma “la Longa”, a sud dell’ingresso e altri edifici accessori. Alla morte dell’ultimo erede Eggenberg, Gradisca tornò sotto il governo degli Asburgo e, nel 1754, venne riunificata alla contea di Gorizia. Pochi furono gli investimenti, se non per un rinforzo degli argini, mentre la fortezza venne in parte trasformata in carceri. Dal 1780, con le riforme introdotte da Maria Teresa, si prevedeva il miglioramento dell’apparato difensivo imperiale: è da ascriversi a questi anni, infatti, la sopraelevazione di due livelli e l’ammodernamento di Palazzo del Capitano. Alla fine del XVIII secolo, la fortezza era completa della Cappella di San Giuseppe e di tutti gli edifici già tracciati dal de Buglioni, adatta ad accogliere fino a cinquecento uomini. Gradisca, messa sotto assedio dall’armata napoleonica del generale Bernadotte il 19 marzo 1797, fu fortemente danneggiata e presto conquistata. Dal 1805 passò così, per una breve parentesi temporale, sotto il dominio francese, sotto il quale venne realizzata nel 1809 una nuova caserma all’interno della fortezza, mentre “la Longa” fu adibita a castello. Non si registrò tuttavia nessuno sviluppo urbanistico significativo, e la città perse progressivamente la sua funzione strategico militare per diventare, infine, un centro amministrativo minore sotto il governo austriaco restaurato nel 1814. L’anno successivo l’imperatore Francesco I trasformò il castello in prigione di Stato che, verso la metà del secolo, venne ampliato in senso longitudinale per meglio sopperire alle nuove esigenze: nel 1868 il Palazzo del Capitano poteva ospitare fino a settecento prigionieri. Si dovrà attendere la metà del XIX secolo per assistere alle prime, significative trasformazioni del centro storico. Tra il 1854 e il 1863 su ordine del generale Radetzky venne abbattuto il tratto di mura verso Ovest, demolendo la porta ed il Torrione del Palazzo, favorendo così uno sviluppo edilizio extra-moenia: in questo periodo, infatti, fu realizzato il parco cittadino e nuove ville che si affacciavano su di esso. Il borgo fortificato venne, infine, fortemente danneggiato nel corso della Grande Guerra: nella ritirata di Caporetto dell’Ottobre 1917 del nobile palazzo settecentesco dei de’ Fin-Patuna rimase intatta solo la facciata anteriore mentre tutte le strutture retrostanti dovettero essere oggetto di una ricostruzione successiva; stessa sorte per la caserma sopra la Porta Nuova, ricostruita e trasformata in residenza negli anni ’30 del Novecento, così come per buona parte degli edifici del centro storico. Nell’immediato dopoguerra, più precisamente nel 1919, fu tolta l’epigrafe che dal 1555 troneggiava sulla porta del castello, mentre nel 1925 tornò ad essere caserma, ospitando l’11° Reggimento Bersaglieri dell’esercito italiano. In questa fase vennero rimossi l’intonaco giallo, simbolo asburgico, sbarramenti e cancelli, nonché si provvide alla pulitura delle mura e alla creazione di un camminamento nei pressi del Torrione della Marcella. Il Palazzo del Capitano sarebbe stato nuovamente utilizzato come carcere nel corso del secondo conflitto mondiale, quando ben ottocentocinquanta prigionieri vennero rinchiusi al suo interno. Tornato al demanio militare nel secondo dopoguerra, il complesso del Castello venne adeguato in modo ospitare un reparto di Polizia, la Guardia di Finanza ed alcune residenze. Il grave stato manutentivo portò alla necessità di agire con urgenza, sul solo Palazzo del Capitano, che venne sottoposto a pesanti interventi di restauro tra il 1978 ed il 1984. Nel 2021, infine, è stato completato il ripristino di parte delle mura del “collisello”, rendendo possibile una passeggiata e la visita del parco interno.
La cinta muraria è costituita prevalentemente da strutture in muratura a blocchi sagomati/sbozzati, in pietra arenaria (in parte provenienti dalle vicine cave carsiche di "Sdraussina" - Poggio Terza Armata). Si rilevano puntuali dettagli in pietra calcarea (come, ad esempio, le volute dei torrioni di San Giorgio e della Campana) e localizzati interventi di restauro/ ripristino con laterizio o legno. In alcuni punti (si veda il margine a Est o il tratto di mura a Nord, tra i due torrioni prima citati) è evidente che le strutture appoggino su un substrato calcareo compatto.
GRADIS'CIA, Gradis'cia, Udine 1977
Corbellini R./ Masau Dan M., Gradisca 1479-1511: storia di una fortezza, Gradisca d'Isonzo (GO) 1979
Visintini C., Gradisca: analisi della fortezza veneta, Trieste 1985, quad. n.6
Masau Dan M., Fortezza di Gradisca. Gradisca d'Isonzo/ Gorizia, Reana del Rojale 1986
GRADISCA, Gradisca : città fortezza, città giardino, Monfalcone (GO) 1999
VENEZIA NON GUERRA, "Venezia non è da guerra." L'Isontino, la società friulana e la Serenissima nella guerra di Gradisca (1615-1617), Udine 2008